In Francia e in altri paesi europei si guarda con stupore e curiosità all’ossessione italiana per l’“affaire Moro”. Ci si chiede perché, a più di trentacinque anni di distanza, si continui a cercare prove a sostegno di un complotto i cui elementi cruciali continuano a restare incerti e indefiniti. Sono dubbi che invece non hanno corso in Italia, dove qualunque occasione viene colta dai principali quotidiani per rilanciare con grande serietà la tesi di un complotto intorno alla morte di Aldo Moro. È accaduto di nuovo con una intervista all’artificiere Vito Raso, che per primo cominciò ad ispezionare la Renault 4 posteggiata in via Caetani il 9 maggio 1978 e in cui poi fu trovato il corpo di Moro. 



L’attenzione giornalistica verso il suo racconto appare giustificata: è la prima volta che questo testimone parla pubblicamente, perché finora né la magistratura né la stampa gli ha mai chiesto i suoi ricordi di quella giornata indubbiamente storica. Meno giustificato è invece il tentativo di usarne le parole per “riaprire” il caso Moro. Raso, infatti, non ha mai sentito il bisogno di parlare ed egli stesso afferma di non aver mai creduto di avere informazioni importanti da dare. Giornali e mass media, invece, pensano che le sue relazioni siano esplosive. 



Secondo alcuni, infatti, la sua testimonianza proverebbe che Cossiga era informato della presenza del corpo di Moro nella R4 ben prima della telefonata delle Br al prof. Tritto, alle 12,13 del 9 maggio. Ma tale conclusione non appare fondata. Anzitutto, è noto che testimonianze rese a tanta distanza di tempo non possono essere considerata sicuramente attendibili, specie per quanto riguarda particolari come quelli che concernono i tempi degli avvenimenti. Lo conferma il confronto con il ricordo di un altro artificiere, intervistato per suffragare il racconto di Raso, che sopraggiunse più tardi a via Caetani: tra i due racconti esistono divergenze perfettamente naturali dopo tanto tempo. 



Raso, inoltre, racconta di aver cominciato ad ispezionare l’auto intorno alle 11 o 11,15 e di aver concluso l’operazione solo dopo un’ora e mezzo o due ore. E solo al termine dell’ispezione avrebbe sollevato la coperta che copriva il corpo dello statista, dopodiché avrebbe informato l’allora ministro dell’Interno – presente sulla scena seppure ad una certa distanza – del ritrovamento. In base al suo racconto, dunque, Cossiga sarebbe stato informato dopo le 12,30 o, probabilmente, anche più tardi, dunque dopo la telefonata al prof. Tritto. Ciò spiegherebbe  perché Raso non abbia notato una particolare reazione di Cossiga al suo annuncio: questi sarebbe già stato al corrente della presenza del corpo di Moro sull’auto, non per motivi misteriosi ma per quelli sempre indicati dalla ricostruzione ufficiale.  

Dopo la lettura delle due interviste restano invece aperti altri interrogativi, che si aggiungono a quelli da sempre senza risposta, come i seguenti: perché i brigatisti per lasciare l’auto scelsero un posto così pericoloso per loro? perché aspettarono tanto tempo prima di dare l’annuncio? quale fu l’ ora esatta della morte di Moro? e via dicendo. Un primo interrogativo riguarda la convocazione dell’artificiere da parte della polizia, alla quale era stata segnalata un’auto sospetta che poteva contenere una bomba. Segnalazioni di questo tipo, come ricorda Raso, erano frequenti in quei giorni e quindi il suo intervento era in un certo senso di routine. Non sappiamo però la fonte della segnalazione: un passante? una telefonata anonima? le stesse Br? 

In ogni caso, la dinamica degli avvenimenti induce a credere che quando l’artificiere fu convocato e cominciò il suo lavoro, né la polizia né lui avevano il sospetto che la macchina contenesse il corpo dello statista rapito da 55 giorni: egli svolse il suo lavoro da solo e in tutta tranquillità senza particolari misure prese dalla polizia per isolare la zona o iniziative simili. 

Secondo interrogativo. Raso afferma che Cossiga sarebbe già stato presente intorno alle 11,15. Questo è indubbiamente l’elemento più sorprendente di tutto il racconto: se fosse vero, perché il ministro dell’Interno si sarebbe interessato di una semplice controllo di routine su un’auto sospetta? Tale elemento, però, da solo non porta da nessuna parte – come ha notato Rino Formica − e volendolo assumere come indizio di una conoscenza anticipata dell’informazione che l’auto davvero conteneva il corpo di Moro, non si comprende perché: a) Cossiga si sia fatto vedere sul posto già alle 11,15 se avesse voluto mantenere celata la sua conoscenza anticipata; o b) non abbia disposto un più ampio spiegamento di forze dell’ordine e si sia allontanato prima della conferma di quanto già sapeva, per poi tornare successivamente, nel caso non avesse motivi per tenere celata la sua conoscenza della notizia. Insomma, si tratta di interrogativi che – pur lasciando aperte diverse incertezze – non configurano elementi per parlare di complotto e, in particolare, per gettare su Cossiga ombre inquietanti. A questo proposito, come ha sottolineato Macaluso, non si può non rilevare che tali informazioni date da Raso e dal suo collega emergono dopo la scomparsa di Cossiga e Andreotti che avrebbero potuto smentire o precisare le loro ricostruzioni. 

Insomma, anche in assenza di elementi solidi, le teorie del complotto continuano a trovare alimento. Sono stati appena pubblicati due nuovi libri sul caso Moro e la procura di Roma ha aperto un nuovo fascicolo sul suo omicidio. Tutto lascia supporre che si continuerà ancora a lungo su questa strada. Io stesso, di tanto in tanto, vengo raggiunto da mail che mi promettono sorprendenti verità. Ancora, però, non sono seguiti elementi concreti a sostegno di tali verità. E sarebbe strano se così non fosse: un complotto che si rispetti deve restare per sempre avvolto nel mistero.