Secondo i risultati dell’autopsia, Pietro D’Amico, l’ex magistrato che aveva scelto di lasciarsi morire nella clinica persuicidi assistiti di Basilea, non era malato. La decisione di morire infatti, secondo le poche testimonianze attendibili, era stata presa dopo una profonda depressione causata dalla notizia che soffriva di un male incurabile. Ma non sarebbe stato così. Adesso ovviamente si apriranno tutte le indagini del caso per verificare eventuali colpe. Il caso è duplice perché la malattia incurabile di cui avrebbe sofferto l’ex magistrato era stata dichiarata da medici italiani e confermata da colleghi svizzeri. Un errore scientifico fatale, è stato definito. L’avvocato della famiglia, che sin da subito aveva chiesto di indagare perché aveva trovato incredibile la notizia del suicidio, spiega: “L’errore scientifico gli ha dato quella terribile conferma che lo ha spinto a richiedere l’assistenza della clinica di Basilea”. Da capire è se i medici svizzeri abbiano violato la legge che impone a chi fa richiesta di suicidio di verificare in ogni modo se sia colpito da una patologia terminale; inoltre la diagnosi deve essere fatta da due medici diversi da quello che assiste al suicidio e sembra che questo non sia successo.