La Gran Bretagna è preoccupata per il benessere dei suoi giovani: mezzo milione di bambini sono infelici. Il grido lo lancia il sito della Bbc facendo riferimento al report Good Childhood della Children’s Society in cui 42mila giovani dagli otto ai diciassette anni sono stati interrogati e studiati quanto al loro benessere soggettivo. Se i ragazzi tra i quattrodici e i quindici anni sono quelli con il più basso livello di soddisfazione in assoluto, il target fra gli otto e i quindici, se paragonato ai dati degli studi precedenti, segna il maggior livello di declino rispetto al passato. Le aree di principale malcontento risultano essere la scuola, il look, i soldi e il futuro.
Sembra che sulla scorta di questi dati stia sorgendo nel paese un dibattito su come affrontare una tale emergenza, su come aiutare i giovani. Il Chief Officer della Children’s Society usa parole forti: “il benessere delle nostre future generazioni in Uk è critico e desta una incredibile preoccupazione il fatto che ogni miglioramento che abbiamo ottenuto al riguardo negli ultimi vent’anni si sia arrestato”.
Una prima considerazione ci viene spontanea: ciò che colpisce nella ricerca è che le angosce dei bambini e dei ragazzi sono fotocopie delle nostre. Se consideriamo che la scuola può essere assimilata al lavoro o al compito da svolgere, la quaterna che preoccupa i giovani è davvero identica a quella che preoccupa noi adulti: lavoro, immagine, soldi, futuro.
E poi una seconda considerazione: i più giovani purtroppo non si fanno mancare nulla, infatti non è proprio risparmiato nessun aspetto. Anche l’area più propriamente relazionale, quella dei rapporti e delle amicizie, che sembrerebbe estranea in realtà viene toccata dalla preoccupazione per il look. Ho paura, o sono certo, di non piacere riguarda infatti il mio rapporto con gli altri.
Cosa sta succedendo, quindi?
Perso l’orientamento, anzi persa la bussola noi grandi, la stiamo facendo perdere anche ai più piccoli. In casa ci lamentiamo di tutto: del lavoro che non ci piace e che è diventato un fastidioso dovere di cui faremmo volentieri a meno, dell’aspetto fisico che non va mai bene per cui anche se magari non ricorriamo alla chirurgia estetica comunque ci vorremmo più magri, più alti, più muscolosi, più belli, dei soldi che ci permetterebbero di circondarci di oggetti rassicuranti, del futuro che non riusciamo nemmeno a immaginare, fissati come siamo su un presente insoddisfacente.
Ancora una volta dovremmo provare a tornare noi bambini. E permettere che i bambini ci rendano simili a loro. Non è un regresso, né un ritorno a un lost paradise, quanto l’acquisizione di una prospettiva che avevamo già e che dobbiamo recuperare, dopo essere passati dalla pubertà.
Guardiamo i bambini per orientarci. Anzi, guardiamo ai bambini.
Giocano, ossia lavorano, con una serietà impressionante, perché a loro piace trasformare il reale tramite la loro opera: una torre di mattoncini può essere costruita, buttata giù e ricostruita anche dieci volte, senza noia o frustrazione.
Presentano il loro corpo, a volte anche nudo senza scandalo né malizia, a chi è presente perché il corpo è a disposizione dell’altro in modo che se ne faccia qualcosa con beneficio di tutti.
Commerciano, ossia trafficano in continuazione. Scambiano e vendono figurine, biglie, libri, piccoli oggetti, senza antagonismo, senza voler fregare nessuno, con l’idea che il guadagno personale non coincide necessariamente con la perdita di un altro.
Hanno futuro, proprio per il fatto di non preoccuparsene troppo. Fra una settimana o un mese, non cambia poi tanto: non è ora, è un punto del tempo che verrà, prima o poi. E se la cosa è bella, come il compleanno o Natale o una gita attesa, meglio che venga prima. Investendo sull’oggi costruiscono il loro futuro, senza angosce.
Noi adulti possiamo pensare grandi programmi per aiutare i giovani in Uk come da noi e faremmo bene a metterci la testa e le mani. Ma la soluzione, per noi e per loro, passa dal riconoscere il valore dei più piccoli. Dobbiamo solo scoprire il modo per farci come loro, senza cadere in quel patetico infantilismo di ritorno di cui solo l’adulto sa essere capace. Si tratta di iniziare a pensare come loro e smetterla di disorientarli.
Ancora una volta dovremmo provare a tornare noi bambini. E permettere che i bambini ci rendano simili a loro. Non è un regresso, né un ritorno a un lost paradise, quanto l’acquisizione di una prospettiva che avevamo già e che dobbiamo recuperare, dopo essere passati dalla pubertà.
Guardiamo i bambini per orientarci. Anzi, guardiamo ai bambini.
Giocano, ossia lavorano, con una serietà impressionante, perché a loro piace trasformare il reale tramite la loro opera: una torre di mattoncini può essere costruita, buttata giù e ricostruita anche dieci volte, senza noia o frustrazione.
Presentano il loro corpo, a volte anche nudo senza scandalo né malizia, a chi è presente perché il corpo è a disposizione dell’altro in modo che se ne faccia qualcosa con beneficio di tutti.
Commerciano, ossia trafficano in continuazione. Scambiano e vendono figurine, biglie, libri, piccoli oggetti, senza antagonismo, senza voler fregare nessuno, con l’idea che il guadagno personale non coincide necessariamente con la perdita di un altro.
Hanno futuro, proprio per il fatto di non preoccuparsene troppo. Fra una settimana o un mese, non cambia poi tanto: non è ora, è un punto del tempo che verrà, prima o poi. E se la cosa è bella, come il compleanno o Natale o una gita attesa, meglio che venga prima. Investendo sull’oggi costruiscono il loro futuro, senza angosce.
Noi adulti possiamo pensare grandi programmi per aiutare i giovani in Uk come da noi e faremmo bene a metterci la testa e le mani. Ma la soluzione, per noi e per loro, passa dal riconoscere il valore dei più piccoli. Dobbiamo solo scoprire il modo per farci come loro, senza cadere in quel patetico infantilismo di ritorno di cui solo l’adulto sa essere capace. Si tratta di iniziare a pensare come loro e smetterla di disorientarli.