Leonardo Marini, all’età di 46 anni, libero e incensurato, si costituì ai carabinieri, per confessare che, 16 anni prima, aveva ucciso Luigi Calabresi. Oggi, a 25 anni dalla morte del commissario, La Stampa, guidata dal figlio Mario, lo intervista. Michele Brambilla, cronista del quotidiano, chiede all’ex terrorista di Lotta Continua, di render conto dell’accusa di essersi fatto pagare per quella confessione. Ma Marino replica che «non si capisce che interesse avrebbero avuto i carabinieri a costruire false accuse contro un movimento che non esisteva più da oltre dieci anni». Oltretutto, fa presente che se si fosse fatto pagare, non gestire da sempre una semplice crêperia fino alle due di notte. Marino spiega che, inoltre, non ha ottenuto alcun vantaggio dalla confessione. Avrebbe potuto cambiare nome, come fecero altri, ma non lo fece. Resta il fatto che lui giura di non essere mai pentito di essersi pentito. Rispetto ad Adriano Sofri, che Marino affermò essere il mandante dell’omicidio, ribadisce, infine di non aver mai avuto dei dubbi circa il colloquio che avvenne dopo un comizio, a Pisa. «Le parole esatte non le posso ricordare. Ma certe cose si possono capire solo tra chi è stato in un certo ambiente».