“A sette anni sono piccolo per la mia età. Ma in piedi davanti al drago appaio davvero minuscolo. Mi sento minuscolo. Impotente. Mio padre vuole che il drago troneggi su di me non soltanto per incutermi rispetto e ottenere la mia attenzione; vuole che le palle che escono dalla sua bocca atterrino ai miei piedi come se fossero sganciate da un aereo. La traiettoria rende pressoché impossibile rispondere in maniera convenzionale: devo colpire ogni palla d’anticipo, altrimenti mi rimbalzerebbe oltre la testa. Ma nemmeno così sono abbastanza veloce per mio padre… Non mi posso muovere senza calpestare una palla – eppure devo stare attento a non farlo, mio padre non lo sopporterebbe. Se calpestassi una palla da tennis, mio padre urlerebbe come se gli avessi schiacciato le sue”. 



Chiunque abbia letto Open di Andre Agassi, uno dei più appassionati libri contro lo sport, come è stato definito dal New York Times, non può non essere rimasto colpito dal tema del rapporto genitori figli. In realtà, questo splendido racconto della vita di uno dei più grandi campioni del tennis di sempre contiene tante storie in una: lo sport, l’amore, la sfida, la competizione, l’odio. Ma una tra queste ha un rilievo particolare e di grandissima attualità anche oggi. Vale a dire quella dell’educazione dei nostri figli. Ma anche, per allargare il tema, quella delle scelte che devono fare e dei percorsi che talvolta li spingiamo (obblighiamo) ad intraprendere. 



Viviamo in un mondo in cui le generazioni che ci hanno preceduto (e forse anche la nostra, ma in misura minore) hanno divorato risorse e avuto un impatto devastante sul mondo e soprattutto sul nostro Paese, l’Italia. In uno scenario complicato come quello che stiamo vivendo, educare dei figli è diventato, se possibile, ancora più complesso. La realtà di quasi tutte le famiglie è quella di due genitori che lavorano e che quindi hanno ridotto drasticamente il tempo di condivisione. Il segreto è quello di lavorare costantemente sulla qualità del rapporto, cercando di essere presenti in modo corretto, aiutandoli a crescere, rispettando i ruoli e sostenendoli nel percorso. Certo a parole sembra tutto facile, ma poi nella quotidianità, con i ritmi forsennati ai quali siamo sottoposti, questo compito, già di per sé impegnativo, diventa talvolta proibitivo. 



Eppure, per provare a farlo bene, bisogna imparare il mestiere di far vivere. Ma abbiamo un sacco di paure. Le ha raccontate magistralmente sul numero di GQ attualmente in edicola Alessandro Cattelan, conduttore radiofonico e televisivo che da due anni è alla guida di X Factor, parlando del rapporto con sua figlia. Siamo spaventati per un futuro che abbiamo visto o intravisto per noi e che invece non vediamo più per loro. 

Siamo spaventati di non dedicare loro abbastanza della nostra vita. Siamo spaventati di averli abituati ad avere delle cose che forse domani non sarà più possibile avere. Temiamo che gli crolli il mondo addosso. Siamo spaventati dall’idea di non sapere cosa consigliar loro di fare nella vita. Qualche anno fa era relativamente semplice indicare dei percorsi di studi che alla fine portassero ad un impiego quasi sicuro e retribuito in maniera adeguata. Oggi tutto è cambiato. Ci sono ragazzi straordinari che si affacciano al mondo del lavoro con eccellenti percorsi di studi, magari anche dei master, che combattono per 800 o mille euro al mese. E allora ci chiediamo: cosa succederà ai bambini che oggi hanno sei o sette anni? 

La mia speranza di genitore è che nel frattempo cambi qualcosa. Mi auguro che alla fine questo straordinario Paese decida che è ora di ripartire. Ma potrà ripartire, probabilmente, soltanto con una nuova generazione che spazzi via, una volta per tutte, le cattive abitudini e anni di immobilismo. Qualche tempo fa, parlando con un amico, facevamo la considerazione che l’unica chance di riscossa per l’Italia sarebbe, paradossalmente, quella di mandare via tutti e di ripartire dai bambini. Lasciare a loro la guida, per ricominciare dai valori. Quelli con la “V” maiuscola. Forse però, potremmo più semplicemente, iniziare a capire quello che non dobbiamo fare. Non dobbiamo soffocarli. Non dobbiamo pensare che le nostre idee siano migliori delle loro. Non dobbiamo pensare che siano persi senza la nostra guida. Non dobbiamo a tutti costi farli combattere con il drago, pensando di renderli più forti e preparati alla vita. La presunzione di aver capito tutto ci ha portato in questi anni a vivere uno dei momenti più complessi della storia economica mondiale. Abbiamo imboccato una via sbagliata e facciamo fatica a tornare indietro. E se fossero i nostri figli a dirci dove dobbiamo andare?

“I vostri figli − diceva Gibran ne Il Profeta − non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie della vita stessa. Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi, e non vi appartengono benché viviate insieme. Potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri, poiché essi hanno i loro pensieri. Potete custodire i loro corpi, ma non le anime loro, poiché abitano case future, che neppure in sogno potrete visitare. Cercherete d’imitarli, ma non potrete farli simili a voi, poiché la vita procede e non s’attarda su ieri. Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccate lontano”. Facciamoli volare. Senza paura. E forse torneremo a volare anche noi.