C’è un numero che sta mettendo paura alla Cina. È il numero della popolazione anziana cresciuta in modo quasi esponenziale negli ultimi decenni. Nel 1950 gli ultrasessantenni erano 41 milioni. Oggi sono 187 milioni e sono proiettati a diventare ben 487 milioni, ossia il 35% della popolazione, nel 2053. Un aumento originato dalla crescita dell’aspettativa di vita, che è passato da 41 a 73 anni in cinque decenni.



Il problema è di dimensioni enormi e Pechino si trova ad affrontarlo avendo un sistema di welfare molto debole e inadeguato in prospettiva. Per questo tre giorni fa il governo ha emanato una legge dai contenuti davvero strani: in sostanza si raccomanda ai figli di non lasciar soli i genitori e si garantiscono anche 20 giorni di permessi ai lavoratori che abbiano i propri anziani in regioni lontane. La legge è curiosa, perché più che delle norme contiene delle raccomandazioni. Chiede maggiore attenzione e vieta l’abbandono, come anche gli atteggiamenti irrispettosi. Una legge quindi molto paternalista che in sostanza responsabilizza i cittadini rispetto a una questione sociale che lo stato tra qualche anno non sarà più in grado di gestire.



Bisogna conoscere quell’immenso paese per capire le ragioni e la filosofia di un provvedimento come questo. Ad esempio il corrispondente del Sole 24 Ore, Francesco Sisci, lo ha spiegato in un’intervista a Radio Vaticana come necessità di arginare «quella occidentalizzazione estrema, quella americanizzazione, direi spinta, che ha fatto del culto della gioventù, dell’efficienza, il modello unico». Entrano anche in gioco le conseguenze della politica del figlio unico. Spesso le famiglie di figli unici si trovano prese in una morsa: da soli, due figli unici, devono prendersi cura di quattro genitori anziani e poi magari anche di due bambini, perché i figli unici invece ora hanno la possibilità di avere due figli invece che un figlio solo. «Questo combinato disposto, naturalmente, ha fatto esplodere l’ultimo valore fondamentale della cultura confuciana e quindi lo Stato è intervenuto, direi positivamente in questo caso», ha spiegato sempre Sisci.



In sostanza, uno Stato socialista che ha cavalcato i modelli di produzione capitalistica più spregiudicati, ora si trova a gestire come conseguenza non calcolata una grave emergenza sociale. Che è economica, in quanto gli anziani sono poveri perché le pensioni basse sono erose anche dal tasso d’inflazione; ma che è anche culturale: gli anziani un tempo al centro dell’organizzazione sociale ora ne sono stati spinti ai margini.

Certo si può sorridere del paternalismo con cui Pechino è intervenuta approvando questa legge entrata in vigore il 30 giugno per la «Protezione dei diritti degli interessi degli anziani». Si può sorridere per questo tentativo di introdurre un obbligo alla “pietà filiale”. Ma forse è meglio rendersi conto di quanto sia globale questo problema e di quanto tocchi anche i nostri paesi liberi e, a rigore, rispettosi dei diritti delle persone.

Capisco che l’accostamento possa sembrare azzardato, ma nei contenuti di quella legge cinese ho ritrovato l’eco di una raccomandazione che più volte abbiamo ascoltato fare, anche con una certa severità, da papa Francesco in questi suoi primi mesi di pontificato. Lo abbiamo sentito dire, ad esempio, parole come queste: «I nostri anziani, che per questo narcisismo e consumismo, sono materiale scartabile, li gettiamo nella discarica esistenziale. Così la mancanza di amore instaura la “cultura della discarica”. Quello che non serve si butta via». E in un’altra occasione: «Un popolo che non si prende cura dei bambini e degli anziani è un popolo in declino». Un giudizio che vale per la Cina. Ma vale evidentemente anche per noi.