Il commendatore è una delle più alte onorificenze italiane, un grado superiore al cavaliere e all’ufficiale all’interno dell’Ordine al merito della Repubblica italiana (a sua volta l’onorificenza più alta) e inferiore esclusivamente ai gradi di grande ufficiale e al cavaliere di gran croce. Viene conferita per meriti altissimi, per «ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, della economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari». Ecco, Licio Gelli, il venerabile maestro della P2, secondo il nostro ordinamento avrebbe rivestito fino a ieri il suddetto profilo. Eppure, ne è passato di tempo da quando, nel marzo 1981, vennero scoperte le liste degli appartenenti alla loggia massonica, ed emerse il suo piano eversivo di conquista di tutti i gangli fondamentali dello Stato. Il fatto che Gelli sia rimasto commendatore fino a ieri a causa delle insidie e delle lentezze del nostro apparato burocratico non diminuisce le colpe del sistema. In ogni caso, meglio tardi che mai. La Gazzetta ufficiale, il 29 luglio 2013, ha pubblicato un comunicato del segretariato generale del Quirinale in cui si fa presente «su disposizione del Cancelliere dell’Ordine», «si è provveduto all’annotazione delle sentenze di condanna e del provvedimento di unificazione pene emesse dal Procuratore generale della Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano, con le quali il sig. Licio Gelli è stato condannato, a seguito di vari reati, ad anni 30 di reclusione, nonché, tra le altre cose, alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici». Tutto questo, comporta la perdita dell’onorificenza conferitagli, il 2 giugno del 1966, dall’allora capo dello Stato Giuseppe Saragat. Allora Gelli aveva solo 47 anni. Ne sono passati esattamente altri 47 prima che ci si rendesse conto dell’errore.



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