Qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, Aldo Grasso lo ammetteva candidamente: i giornalisti non hanno i mezzi per esprimere opportunamente le parole di Papa Francesco e, per questo, tendono ad inserire le sue risposte e le sue affermazioni in schemi vecchi, che non aiutano più a capire e ad informare. L’esempio lampante di questo handicap si è manifestato durante il volo di ritorno da Rio, quando Bergoglio ha interloquito con i media a tutto campo, suscitando con le sue parole, sui gay come sullo Ior, l’impressione di un cambio di paradigma epocale per la Chiesa Cattolica. Questo effetto ottico deformante dipende appunto dall’insufficienza degli schemi interpretativi cui i giornalisti si rifanno per comprendere le parole del  Papa. Essi non capiscono che la Rivoluzione di Francesco non parte dal 2013, ma dal 1962. L’aver infatti ridotto il Concilio Vaticano II ad un evento modernizzatore della Chiesa ha impedito loro di cogliere tutta la portata della maturazione della coscienza teologica ed ecclesiale che quell’evento ha prodotto. La Chiesa, grazie al Concilio, ha infatti definitivamente espresso la sua irriducibilità a qualunque potere: essa non sarà mai l’ancella di nessuna ideologia che riduca il valore dell’uomo e della vita ad un prodotto sociale, storico, psichico o economico. Se nel combattere il tentacolo del regime comunista la Chiesa ha avuto come alleato l’ideale borghese, questo non vuol dire che essa lo abbia sposato o promosso. L’unica passione della Chiesa è il Vangelo e mai essa baratterà “un pó di Vangelo” con ideali che usano il Vangelo per ben altri obiettivi, fossero anche la difesa delle strutture sociali e fisiche dello stesso Occidente. Identificare la Chiesa con una cultura o con un ideale è sempre sbagliato. Papa Francesco sveglia tutti coloro che credono – marxisticamente – che la Chiesa sia una sovrastruttura del sistema capitalista o dell’ideologia borghese: la Chiesa è il Corpo di Cristo, il Tempio della Spirito nella Storia, il Popolo nuovo di Dio – distinto e diverso da tutti gli altri popoli. Qui non si tratta di scagliarsi contro la borghesia o contro le strutture dell’Occidente, che – per altro – sono uno degli esiti della mentalità cristiana nella storia, ma si tratta di non identificare mai la Chiesa con un ideale, come quello borghese di tranquillità e di benessere, che sfrutta la Chiesa stessa per giustificarsi e per tenersi in vita tra i marosi della storia.



Le comunità cristiane odierne in Occidente sembrano infatti, tranne casi eroici e commoventi, il vivaio di un sistema giunto al collasso, quello rimasto apparentemente vincente dopo il crollo del muro del 1989. Per questo il cristianesimo in Occidente è al tracollo: per aver tradito la sua irriducibilità a qualunque ideologia e aver perso il suo profondo carattere di “fenomeno di contestazione” del vivere comune. Per questo le parole di Papa Francesco sconvolgono e disorientano: egli, seguendo il Concilio, divorzia da qualunque ideologia o sistema sociale per riportare la Chiesa alla pura passione per Cristo, lasciando che “i morti seppelliscano i loro morti”. È in questo contesto che vanno lette le sue parole: smettendola di credere che la Chiesa sia una propagine del sistema borghese e che, quindi, offra i suoi sacramenti e la sua dottrina come scudo ad un mondo che – perseguendo la libertà – anestetizza il cuore di ogni Io, riducendolo per l’ennesima volta ad una pedina necessaria del potere. Quello stesso potere che, ottenuto il suo scopo, tenta poi, grazie alle sue frange dichiaratamente più anticlericali, di sbarazzarsi della Chiesa con leggi illiberali e liberticide come quelle allo studio del Parlamento italiano in merito alla delicata materia dell’omofobia. La Chiesa non è un Instrumentum Regni e non deve difendere le banche né – per tutelare il matrimonio – inveire contro le persone omosessuali che, dentro la Chiesa stessa, cercano di vivere e di fare un cammino secondo la saggezza che proviene dalla Tradizione e dal Magistero. La Chiesa non è un’arma a servizio del potere e dell’egemonia di chicchessia. La Chiesa è solo la Sposa di Cristo nella storia. Con questa consapevolezza noi cristiani entriamo nel tempo, desiderosi “di fare discepoli tutti i popoli della terra”, lasciandoci mettere in discussione dalla storia di ogni uomo e di ogni donna, senza essere servi di alcun potere, mendicando di poter annunciare Cristo ad ogni vita che incontriamo.



 

Non siamo un gruppo di amici che passa del tempo insieme, nè un partito di ideologi che punta al potere sulla terra. Siamo sempre quelli là, quelli della spiaggia di Galilea, che vivono l’amicizia come una virtù che schiude le porte all’amore di Dio, che stanno insieme e costruiscono opere col solo anelito di far conoscere al mondo la potenza e l’amore del Maestro. Che non è Uno dei Re di questa terra. Ma che ha “un nome che è al di sopra di ogni altro nome”. Un nome che gli altri non riescono a comprendere e che continuamente riducono a strategia e a pensiero, mentre invece è un nome banale, semplice: Gesù, Dio salva. Come a ricordare, ogni volta che lo si pronuncia, che siamo ospiti grati di una storia che non è nelle nostre mani. Se i giornalisti capissero questo certamente la smetterebbero di credere che il Papa stia smantellando la dottrina della Chiesa, che quando dice “chi sono io per giudicare un gay?” stia aprendo le porte a svolte epocali prive di ogni conforto teologico: Egli sta solo riportando la Chiesa al Vangelo semplice e puro, sottraendola alla tentazione di essere il substrato ideologico di una classe dirigente che ha paura di non sopravvivere ai “cambiamenti di un’epoca”, separandola dal Destino di una civiltà che ormai sembra essere giunta al capolinea e che, a suo tempo, ha già rifiutato la Chiesa come maestra e come madre. Grazie Papa Francesco, grazie di impedire a tutti noi di ridurre la Chiesa ad una cortigiana del potere dominante. Un po’meno grazie a tutti gli altri che, invece di far confusione, dovrebbero aggiornare le loro coordinate storiche e teologiche ad un’Istituzione che, pur avendo duemila anni, dimostra di saper correre “alla velocità dello Spirito”. Ovvero più veloce delle loro penne.



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