Bisogna averla vista Ischia, per pensare che nessun posto al mondo è più bello e struggente per viverci. Nessun posto canta meglio la vita, la bellezza. Come se tutte le brutture che l’uomo ha saputo inventare ne restassero lontane, da quell’isola baciata da sole, mare e montagna, linda, fiorita, azzurra e verde e bianca di schiuma e scogliere. Bisogna averla vista, la chiesetta del Soccorso, a Forio d’Ischia, arroccata lassù, sentinella di marinai e naufraghi, fortezza gentile, un faro di luce, un anticipo di cielo. 



Non è servito, il soccorso pietoso a chi ha scelto il suo sfondo da cartolina per un tuffo mortale. Non l’hanno sorretto, gli angeli, il corpo di quel ragazzo che ha chiuso gli occhi, e si è schiantato sulle rocce, a pochi metri dall’acqua. Diciannove anni, figlio di quella terra, dove pare che non esista turbamento né dramma possibile, dove ci si aspetta che le difficoltà siano nella penuria di turisti, in una pesca ridotta, nella paura di cataclismi della natura che in passato l’hanno fatta sanguinare. 



Ma la felicità, se non è qui, dov’è. È in noi per qualcosa che è fuori di noi. È in noi per il bene, il senso, l’amicizia, che ci abbracciano e ci tengono su, nei giorni più duri. È in noi, e non contano le condizioni, quali esse siano, per goderne la pienezza. Diciannove anni. Il corpo già abbronzato, fremente di un’estate finalmente arrivata. La ragazza, i tanti sogni, anche quelli di andar via, perché così fan tutti, quaggiù. Per cercare lavoro e fortuna in continente, dicono, e poi tornare e sentirsi privilegiati di un tale porto, per i fine settimana, per respirare aria pura e perdersi in visioni mozzafiato, coccolarsi i vecchi, metter su famiglia, con la bambina con cui giocavi in piazzetta da piccolo, che s’è fatta grande, e attira gli sguardi dei più audaci. 



Diciannove anni, e averli buttati, insieme a tutti i soldi che aveva, nel gioco. In una notte soltanto. Nessun maledettismo da bisca, nessuna venatura romantica. Il gioco delle slot non ha neppure le flebile dignità di ispirare un racconto d’avventure. Giochi da solo, perdi da solo. Implacabilmente, non riesci a fermare gli ingranaggi telematici che ti stritolano, poco a poco. Manco un poco di buono accanto cui chiedere un prestito, una scazzottata per provare a rifarsi. Perdi, e con quella sconfitta virtuale, in cui il ragazzo ha impegnato i pochi risparmi, se ne va l’onore, la speranza, la fiducia. Il paese è piccolo, tutti sapranno. È un bravo ragazzo, il ragazzo. 

Ha avuto un’educazione semplice, sana. Sacrificio, pazienza, pochi grilli in capo, lavoro. Mica facile, trovare il lavoro, lui ci aveva pure provato, cose saltuarie, qua e là, ma non bastavano a vivere. Si sa, giocando ci si prova, e poi chi ci pensa, a non fermarsi più. Fino al baratro. 

Allora ha preso carta e penna, e ha scritto alla mamma. Perdona, le ha scritto. Ha vuotato il sacco, ha chiesto una carezza e una preghiera, per farsi accompagnare pieno di rimorso e nostalgia. Straziato dal dolore di sé. Come avrà letto quella donna, le sue parole, mentre i carabinieri trovavano il corpo straziato. Quanto avrà gridato a quegli angeli muti, che aleggiano sulla chiesa del Soccorso, per un miracolo che non c’è stato. 

Chissà. Che ne sappiamo noi degli angeli, dei santi. Di quante mani avranno sorretto il suo ragazzo perché il risveglio non fosse così doloroso e crudele. Perché trovasse la pace e quell’abbraccio che aveva a lungo cercato. Poi, discutiamo, e seriamente, di quelle ludopatie che sociologie e psicologi  considerano tra i mali più gravi della nostra società in crisi. Chiediamoci perché lo Stato le fomenti, le promuova, ci marci su, insomma, per fare cassa, permetta la pubblicità, concentrandosi di tanto in tano in proclami e reprimende vane, perché senza volontà concreta di cambiare, di far piazza pulita e rinunciare al denaro sporco che dal gioco d’azzardo proviene. 

Discutiamone. Ricordando che la libertà è il bene più grande e prezioso che abbiamo, e possiamo giocarcela, quella sì, anche nel male e per il male. Non sempre dipende solo da noi. Dipende da chi ci sta accanto, da chi soprattutto non c’è, a darci una mano vera e amica. Ragazzo che volevi volare, che il mare ricordi il tuo nome, e che la tua famiglia possa trovare la pace.