Ma avresti mai pensato – mi ha chiesto mia moglie mentre viaggiavamo fra il Trentino e il Friuli Venezia Giulia per incontrare produttori di cose buone – che un giorno avresti fatto questo ? No che non lo avrei pensato, anche se sognavo di scoprire palmo a palmo l’Italia. Però la cosa che più mi affascina – e che proprio non avevo messo in conto – è il lato umano del mestiere di tanti, dal quale, sono certo, deriva quello qualitativo. Tutti questi incontri, dall’inizio di luglio e per ogni giorno, ho iniziato a raccontarli con un breve video, pubblicato nella home page del sito del quotidiano La Stampa. E dopo la prima settimana m’ha sorpreso scoprire che questi sono fra i più visionati, segno che il gusto è ancora quel fattore che ci interpella e che non viene conosciuto, in Italia, solo per quella scarsa capacità di mettersi insieme. A Cembra, durante la festa che celebrava il Muller Thurgau (attenzione, se capitate in zona andate alla gelateria Serafini di La Vis, alla distilleria Pilzer di Faver, mentre per mangiare mi ringrazierete dopo una sosta al Maso Franch di La Vis e alla Locanda del Passatore di Faver), c’è stato un dialogo sul marketing del territorio. E durante il mio intervento ho detto qualcosa in controtendenza, ma tutt’altro che fuori luogo: manca la politica. Chissà, forse due mesi prima mi avrebbero fischiato, mentre oggi in tanti hanno accettato di dialogare su un fattore che, se corretto, diventa fondamentale per evitare le derive degli uomini soli al comando. Gli uomini soli al comando, per intenderci, non sono solo i politici. A volte sono dei manager, che nei loro punti di riferimento vedono soltanto business plan, grafici e scrivanie. Dei discorsi relativi ai territori, ai giovani, all’occupazione – per dirla tutta – non gliene può fregar di meno. Al massimo sorridono davanti a un buon bicchiere di vino o a un piatto, con il medesimo sguardo ebete degli edonisti che consumano senza commuoversi. Sono votati a grandi progetti, certi che la storia la stanno scrivendo loro. E odiamo fortissimamente il popolo. Come i dittatori, appunto. Ma, come quella genie che ogni tanto cade, si scoprono vulnerabili alla corruzione, per il sol fatto che l’uomo solo al comando deve giudicare in ogni istante qual è il bene collettivo, salvo confonderlo presto e spesso con l’interesse, suo o dei tiragiacche squallidi che gli stanno attorno.
Bè proprio la politica ha dato un esempio pessimo di tutto questo, si potrebbe ribadire. E’ vero. Ma è pur sempre preferibile l’argine di una situazione collegiale che comunque deve rispondere a qualcuno, dell’uomo solo al comando della cosa pubblica, che alla fine non salva nulla. Anzi.
Detto questo, un’altra demagogia strisciante, dopo quella della politica che è sporca per partito preso (nomen omen) è l’abolizione della Province. Se solo ci fermassimo a pensare ci metteremmo a piangere per il ridicolo. E mi chiedo: sono gli emolumenti ad assessori e consiglieri provinciali il problema dell’Italia ? E quanto valgono questi emolumenti a fronte di un esercito di funzionari che non si potranno certo licenziare, ma anche di palazzi nobili di improbabile vendita (bellissimo quello della Provincia di Lodi) e di altri pezzi del nostro patrimonio che fanno capo alla Province ? Davvero l’Italia si governa meglio riducendo la prossimità amministrativa ? L’altro giorno in Friuli ho incontrato Francesca, neo assessore alla cultura della Provincia di Udine. L’ho incontrata un sabato, mentre andava a trovare la gente che si radunava per un festa o un convegno. E m’ha colpito il suo entusiasmo, che era in controtendenza con i de profundis sulle province (ma due estati fa abbiamo letto anche quello dei Comuni sigh!). E m’è venuto in mente che queste persone di buona volontà potrebbero essere davvero i registi di quei giovani che sui territori cercano risposte, illudendosi che arrivino da qualche guru che sta a Roma o a Milano. In questi giorni sto chiudendo il mio Golosario, libro di mille pagine che racconta l’Italia del gusto. Ed è diviso per province. Non so se all’Expo le province ci saranno ancora; il mio Golosario certamente ci sarà, anche per raccontare quell’Italia del gusto che magari non trova spazio e voce altrove. In ogni caso una certezza non mi abbandonerà: continuerò a suddividerlo per province, che ci siano o che non siano. Quasi come una memoria di ciò che andremo a perdere e delle scelte ispirate dalla facile demagogia. Si proprio lo scegliere per scegliere, tanto per far vedere che si fa qualcosa… mentre le riforme e i problemi veri di un Paese che è pur sempre fantastico, li si lascia al prossimo che verrà. Magari a un uomo solo al comando, di cui pentirsi dopo poco tempo… Ma la storia non ci ha insegnato nulla?