Bisogna venirci. Anzi, chiunque per una qualsiasi ragione sbarchi in Sicilia sappia che la miglior tavola in assoluto, non solo siciliana, è qui, a Licata, dove Pino Cuttaia ha deciso di esprimere la sua maturità in cucina. Il viaggio è impegnativo, certo, Licata non offre grandi cose, ma la cucina di Pino è un validissimo motivo che merita il viaggio. Il ristorante è su una via del centro: una piccola insegna dice La Madia, un ingresso stretto conduce in una sala ampia, arricchita dalla foto di Martorana che immortalano alcuni prodotti della Sicilia. Pino Cuttaia va personalmente ai tavoli, discute con gli ospiti sulle scelte del suo menu e poi agisce. Apro una parentesi per dirvi come ha trattato il mio tavolo da sette. Dopo averci fatto leggere il menu, ha chiesto: “Ditemi cosa vi piacerebbe mangiare”. Ha stilato un elenco e poi ha preparato una quindicina di piatti, replicati per due o per quattro, sapendo che ci saremmo divertiti parecchio a farli girare fra noi. E qui mi sono venuti in mente certi chef o ristoratori paludati, che mettono solo dei paletti rispettando una forma e non la sostanza (e non pensano che Licata, o Ragusa, o Modica sono mete difficili, per cui non ci si accontenta di pochi assaggi). Pino Cuttaia nasce quasi come autodidatta: da giovane ha seguito la famiglia in Piemonte e la prima cucina d’autore, pensate un po’, è stata quella di Sergio Vineis del Patio di Pollone (BI), corona radiosa della nostra GuidaCritica&Golosa.
Ma quello che ha imparato, se il paragone non offende nessuno, mi ha ricordato la scuola di Gualtiero Marchesi e, a occhi chiusi, avrei detto che era un suo allievo. Lo è almeno per due visioni: la delicatezza dei piatti, che salvano la nettezza dei sapori, evitando la troppa incisività e poi l’idea di togliere più che di aggiungere, secondo una certa idea barocca della cucina che contraddistingue anche certi suoi colleghi sull’isola. Per tutti, come entrée, ha portato in tavola una focaccia non focaccia, con il cornicione croccante, ma l’interno era solamente una crema con delicato merluzzo affumicato alla pigna. Geniale. Altro piatto superbo e delicato è stato il quadro di alici dove avverti quel concetto di delicatezza che non ti aspetteresti. Ma da lui è imperdibile il suo uovo di seppia, che ha un cuore di tentacoli di seppia, macinato di capocollo di maialino nero, prezzemolo, aglio e formaggio Ragusano, dentro un involucro creato col pesce. E che dire del polpo sulla roccia (un piatto straordinario) o dell’arancino di riso con ragù di triglia e finocchietto selvatico. Da svenimento il Battutino di gambero rosso, maionese di bottarga di tonno, e olio al mandarino.
Tra i primi piatti, imperdibile è anche il Cannolo di melanzana perlina in pasta croccante. Tra i secondi, la Spatola “a beccafico” con caponata croccante, il Maialino nero dei Nebrodi leggermente affumicato, e un maestoso piccione con cipollata (il migliore dei miei assaggi di tutto l’anno). Apoteosi sui dolci con: Cassata di gelato, Cornucopia di cialda di cannolo (altro svenimento), torta di mela con gelato di caramello e pinoli. La sua carta dei vini ha ispirazioni anche nei biodinamici, e il brut della cantina Milazzo è stato un benvenuto adeguato.
Quando finite, lui vi accompagna nel suo negozietto, che porta il nome di Uovo di Seppia, dove la pasta fatta in casa è servita come un gioiello, accanto alle farine del Mulino Marino, alle confetture strepitose di Terre nere (che incontreretee anche quest’anno a Golosaria), e altresfiziositàà siciliane e di tutta Italia. Con la moglie Loredana condivide questa sfida incredibile, giocata sulla memoria e sulla semplicità, ma trasformata da una felice creatività. Andateci, questa è una delle migliori tavole d’Italia. E’ il mio cuoco dell’anno.