L’ultima novità legislativa in materia di “non discriminazione” delle cosiddette “opzioni di gender” – cioè l’autoidentificazione di un soggetto in uno dei possibili generi di orientamento sessuale: etero, omo, trans, bisex, asex ed altri ancora (la Commissione australiana per i diritti umani ne ha elencati ventitre) – viene dallo stato della California. Il 12 Agosto 2013, l’Assembly Bill No. 1266 è diventata legge ed entrerà in vigore con l’inizio del 2014: essa impone alle scuole californiane di consentire l’accesso di tutti gli studenti a qualunque locale, servizio o attività previsti per loro, indipendentemente dall’identità sessuale registrata all’anagrafe e indicata sulla tessera scolastica di riconoscimento.
La normativa è tutt’altro che generica e non lascia spazio a dubbi sulle “novità” che dovranno essere introdotte negli istituti scolastici: libera scelta degli alunni, in base alle proprie inclinazioni sessuali, di accedere alle toilette femminili o maschili, partecipare alle ore di educazione fisica e praticare sport nelle squadre di ragazzi o ragazze. Nulla sappiamo (per ora) su cosa accadrà quanto all’uso degli spogliatoi e delle docce o all’assegnazione delle camere d’albergo durante le gite scolastiche.
Ma c’è quanto basta per constatare dove ci sta progressivamente e decisamente portando l’ideologia del gender: lontano dall’uomo concreto, quello in carne, ossa e anima, maschio e femmina in quanto persona, essere umano reale e non immaginato, costruito attraverso le sofisticate alchimie della mente, la lente sfuocata del sentimento, la reattività istintiva e i giochi tirannici del desiderio. Senza stuzzicare la fantasia con ipotetici scenari scolastici californiani (e non solo), ci chiediamo quale idea della vita reale, della fragilità emotiva, dell’immaturità affettiva, dei timori e delle attese celate dai comportamenti quotidiani e, soprattutto della domanda del cuore e della sfida educativa dei ragazzi e dei giovani, abbiano in mente coloro che hanno ideato ed approvato queste norme.
Quando l’uomo è accecato da un’ideologia, non riesce più a vedere la realtà e a giudicarla per quello che essa è (non per come la immagina o vorrebbe che fosse): la persona umana non si costruisce da sé, non decide da sé stessa che cosa è o deve diventare. Questo è anzitutto vero per l’essere maschio e femmina. “Essere”, per come siano concretamente fatti, creati, non per una scelta astratta, senza relazione con noi stessi. E’ come se l’uomo non credesse più in quello che lui stesso è. Così si perde la fiducia, la stima verso si sé (non per un ingenuo ottimismo morale o sociale, ma per il riconoscimento di una positività originaria del suo essere che nulla e nessuno può cancellare, neppure il dispotismo dei sentimenti e delle volizioni o il potere della cultura dominante).
Laddove non si riconosce il fondamento della nostra vita – l’essere che ci è dato, prima di tutto – non c’è questione di libertà di scelta, di opzioni di identità, di costruzione di immagine di sé e di relazionalità affettiva, amicale e sociale. E’ esperienza elementare di ognuno di noi che non si costruisce la vita su una tabula rasa: diventiamo adulti sviluppando ciò che siamo da bambini e da giovani attraverso l’impatto con la realtà che è attorno a noi e in noi (lo stupore per «il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me» di cui parla Kant nella conclusione della Critica della ragion pratica), provocato da incontri con soggetti la cui statura umana è affascinante proprio perché esalta tutto l’umano che è in noi, prendendo sul serio la domanda inestirpabile di felicità che alberga nel nostro cuore. 



Viene da chiedersi quale immagine di studenti, idea di educazione ed esperienza di educatore hanno tenuto presente i legislatori della California (e quanti li sostengono con la propaganda dell’ideologia del gender attraverso i mass media) nel predisporre questa legge: di certo non quella che sta davanti ai nostri occhi (anzitutto quelli dei genitori e degli insegnanti) quando guardiamo con simpatia ai ragazzi e ai giovani (etimologicamente, sun pathos significa con la stessa loro “passione” per la vita) per quello che essi sono e per quello che noi siamo, realmente.
La ricerca della verità di noi stessi, della nostra identità (che è identità sessuata), è un percorso impegnativo, faticoso sin da quando si è piccoli, e talvolta non privo di incertezze, di dubbi, di limiti e di errori. Di tutto questo devono tenere conto i genitori, gli educatori, gli insegnanti, i legislatori e i giudici. Senza scavalcare, far fuori il paragone con la realtà di chi è in faticoso cammino per diventare adulto. O, peggio, mascherando la realtà con le proprie convinzioni, sostituendo ad essa l’idea che di essa ci si è fatti.
I ventuno senatori della California che hanno votato a favore della legge sono rimasti ostaggio dell’ultima grande ideologia del Novecento, quella del gender, la cui tesi principale, in sintesi, afferma che non si è uomini e donne in ragione di un’identità antropologica sessuata che si sviluppa gradualmente già a prima della nascita e trova il suo compimento nella maturità, ma lo si diventa solo in quanto ci si riconosce tali attraverso una costruzione psicologica, sociologica e culturale della propria identità di genere. Senza negare l’influenza, talora fortemente incisiva, del vissuto emotivo, relazionale ed educativo nel processo di maturazione del proprio io uomo-donna, occorre riaffermare ciò che sta prima (in senso ontologico, non cronologico) per poter recuperare le istanze che insorgono nel corso dello sviluppo e del percorso educativo familiare, scolastico e sociale e che si intrecciano con la biologia e la psicologia del soggetto in crescita. Per capire e aiutare le “crisi di identità sessuale” occorre comprendere – come ci ricorda Papa Francesco – che «non è una crisi culturale. È una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo!» (Veglia di Pentecoste con i movimenti ecclesiali, Piazza San Pietro,18 maggio 2013).



L’intervento legislativo del Senato californiano si inquadra nei numerosi tentativi in atto di sanzionare ogni pretesa “discriminazione” – non solo sul piano delle pari opportunità scolastiche, lavorative e sociali, ma anche a livello culturale, familiare ed educativo – nei confronti di alcune opzioni di gender. In Italia, il dibattito è divenuto incandescente in occasione del percorso parlamentare del disegno di legge sull’omofobia. Riconoscere una differenza radicale, ontologica che realmente esiste sin dall’origine nell’essere uomo-donna (se non si vuole ricorrere al racconto biblico della creazione, la stessa storia dell’evoluzione animale e dell’uomo lo testimonia inequivocabilmente) non significa “discriminare” una manifestazione dell’essere sessuato rispetto all’altra, ma salvaguardare e valorizzare una differenza anzitutto affermando e tutelando il fatto che essa esiste, non può essere cancellata.
Definire “discriminazione” l’affermazione di una differenza reale è un falso egualitarismo che non fa fiorire l’accoglienza e la valorizzazione dei diversi nella società (la diversità è un valore da salvaguardare in un’autentica democrazia), ma apre la strada a pericolose derive totalitarie, figlie di ideologie cieche e violente. Una società in cui non esistono più volti, ma tutto è indistinto, omologato, intercambiabile e interfunzionale, non è una società dal volto umano. La vera emergenza non è l’omofobia, ma l’eterofobia, la paura che qualunque diversità minacci l’uguaglianza dei cittadini. Al contrario, la grande sfida – che dobbiamo raccogliere – è quella dell’uomo reale, nel quale l’unità e la dignità della persona non può essere separata dalla differenza dell’essere uomo-donna, nel quale si rispecchia lo splendore dell’immagine di Sé con cui Dio ha voluto crearci.

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