Il 17 agosto la Chiesa celebra la memoria liturgica di molti santi, tra cui Santa Chiara da Montefalco (conosciuta anche come Santa Chiara della Croce) e di San Nicolò (Nicola) Politi. Chiara nacque a Montefalco, comune in provincia di Perugia, nel 1268 da Damiano e Giacoma. Fin dalla tenerissima età mostrò una profonda spiritualità e una grande devozione per Cristo e il simbolo della sua passione, la Croce. Entrò a soli sei anni nel reclusorio di san Leonardo, fondato dalla sorella maggiore, Giovanna. In seguito, con l’accrescersi della comunità del reclusorio, Giovanna fondò, grazie all’approvazione del vescovo di Spoleto, il monastero della Santa Croce e di Santa Caterina d’Alessandria, divenendone la prima badessa. 



Chiara seguì la sorella nel nuovo monastero, e, dopo la sua morte, ne prese il posto a soli 23 anni. La donna governò con fermezza la comunità del monastero e si distinse, nonostante la clausura, per dialoghi con alcuni dei più importanti religiosi e intellettuali dell’epoca. Ben presto si diffusero fuori le mura del monastero notizie sulle sue doti mistiche e profetiche, nonché sulle sue miracolose capacità taumaturgiche. Subito dopo la sua morte, avvenuta il 17 agosto 1308, cominciò a essere venerata come santa. 



Il suo corpo riposa nella chiesa di Santa Chiara da Montefalco, custodito in un’urna d’argento, insieme ad alcune reliquie. Secondo la leggenda, dopo la morte della badessa, il suo corpo fu sottoposto a un attento esame per rintracciare prove di santità. Si racconta che nel suo cuore furono trovati un crocifisso e un flagello, mentre la sua cistifellea custodiva tre globi, a simboleggiare la Trinità. Il processo di canonizzazione, iniziato poco dopo la sua scomparsa, subì un arresto con la morte del papa Giovanni XXII. Soltanto l’8 dicembre 1881, per volere di Leone XIII, Chiara fu proclamata ufficialmente santa, fissando la sua celebrazione il 17 agosto.



Nicolò Politi, invece, venne alla luce ad Adrano, nel messinese, nel 1117, figlio di genitori benestanti e devoti, che accolsero la sua nascita come un miracolo, data l’avanzata età di entrambi. La sua infanzia e la sua adolescenza furono caratterizzate da eventi prodigiosi, che testimoniavano la sua santità. Riusciva a curare terribili malattie e a scacciare i lupi, salvando le greggi. Mostrò subito un’inclinazione per la vita spirituale e religiosa, sostenuta da una grande devozione per la passione di Cristo e per la Beata Vergine.

Nonostante l’intenzione del giovane di consacrare la sua vita alla fede cristiana, i genitori, a soli 17 anni, lo diedero in sposo a una fanciulla. Secondo la tradizione, Nicolò fu soccorso da un angelo che lo condusse verso una grotta nei pressi dell’Etna, dove trovò rifugio, evitando il matrimonio. Dopo tre anni, duranti i quali Nicolò aveva fortificato la sua anima con una vita di solitudine e preghiera, i genitori riuscirono a trovare il nascondiglio del figlio, che, seguendo il consiglio di un angelo, fuggì verso il Monte Calanna, nei pressi di Alcara Li Fusi, guidato da un’aquila. 

Nel corso viaggio, il santo dovette affrontare le tentazioni di Satana, riuscendo a superarle. Il suo lungo cammino terminò quando trovò rifugio in una spelonca nei pressi Monte Calanna e vicina al Monastero di Santa Maria del Rogato. Da quel momento condusse una vita da eremita, fatta di stenti e privazioni, lasciando la spelonca solo il sabato per ricevere l’Eucarestia nel monastero vicino. Sopravvisse cibandosi di erbe selvatiche e del pane che la sua fedele aquila gli donava miracolosamente.

Secondo la tradizione, Nicolò, stanco e infermo, dopo anni di vita eremitica, ricevette l’annuncio celeste della sua salita in cielo due giorni dopo l’Assunzione della Beata Vergine. Morì il 17 agosto 1167. Il papa Giulio II, accogliendo le suppliche della popolazione di Alcara, riconobbe la santità di Nicolò e autorizzò ufficialmente il suo culto, fissandolo nel giorno della sua morte.