Le immagini del bagnanti che a Portopalo di Capo Passero (Siracusa) hanno aiutato per sette ore, volontari, protezione civile e forze dell’ordine a portare a terra l’ennesimo carico umano di un barcone arenatosi a 30 metri dalla riva hanno fatto il giro del mondo. Commozione generale e apprezzamento per il gesto di generosità compiuto, a partire da quello espresso dal capo dello Stato.



Ad operazione formalmente conclusa è forse lecito porsi una domanda: se un evento simile fosse accaduto a Malta o in Lombardia, i cittadini di quei luoghi si sarebbero comportati diversamente? 

Tutti siamo convinti che di fronte ad evenienze simili né i maltesi, il cui governo ha impedito per alcuni giorni l’attracco ad un barcone carico di immigrati (per altro accolti subito dopo in Sicilia) né i lombardi, ampiamente rappresentati da un partito che contrasta la politica dell’accoglienza sposata dal governo italiano, avrebbero tenuto un comportamento diverso. 



Ed allora il governo di Malta o la Lega Nord possono dirsi reali interpreti di questa dimensione costitutiva del popolo che dicono di rappresentare?

Si dirà, come già si è detto in occasione della visita del Papa a Lampedusa: una cosa è lo spirito di accoglienza, una sorta di Dna presente certo nel popolo italiano, ma ci permettiamo di dire in ogni essere umano; altra cosa è gestire una seria ed equilibrata politica dell’immigrazione, soprattutto di quella clandestina. 

Ma può la politica (di un partito o di uno Stato) ignorare il comportamento che spontaneamente assumono i cittadini di fronte a fatti di tal genere, senza fare la fatica di tradurre questo comportamento in atti legislativi e strutture amministrative e sociali in grado di dare una – seppur parziale, ma adeguata – risposta a questa domanda?



Se ciò non accade è perché esiste uno scollamento tra istanze umane e strutture politiche di cui non ci si vuol fare carico fino in fondo. 

Esempio: alla grande generosità dei lampedusani (tanto che qualcuno vorrebbe attribuir loro il Nobel per la pace), dei siciliani o dei calabresi (tanto che Cosimo Fazio, comandante della polizia municipale di Reggio Calabria, è morto due giorni fa per un infarto dopo aver soccorso per un intero giorno un gruppo di migranti giunti a bordo di un veliero) perché non si riesce a dar seguito con strutture di accoglienza in grado di garantire quelle condizioni di civiltà di cui diciamo di andar fieri? 

Perché malgrado il grande impegno profuso dai volontari in questi luoghi, non si riesce a trasmettere a questi ospiti lo stesso spirito di accoglienza di cui abbiamo appena detto?

Forse perché in mezzo ci sta lo Stato, o se si preferisce la burocrazia, e ciò che ai più appare ovvio o consequenziale, diventa difficile se non impossibile. E così in barba ai nostri buoni principi trasformiamo nei fatti l’accoglienza in semi-reclusione: né prigionieri né liberi. I rimpatri forzati rimangono l’unico strumento efficace per allentare la morsa degli sbarchi clandestini. 

Tutti sanno che il problema dell’immigrazione ha oggi dimensioni tali che nessuno Stato può pensare di affrontarlo da solo. Ma tra il momento dello sbarco e la definitiva soluzione della condizione di colui che continuiamo a chiamare “clandestino”, c’è uno spazio enorme di tempo che si preferisce ignorare. Vi sono persone che rimangono anche più di un anno in queste strutture anomale in attesa di una decisione che inciderà in modo definitivo sul futuro della loro vita.

Ieri ci siamo commossi per i morti di Catania; oggi per la generosità dei bagnanti di Portopalo. Domani non ci mancheranno altri elementi di commozione.

Ma l’accoglienza può ridursi ad uno spazio così breve, seppur così intenso?

In attesa che l’Europa intera decida di affrontare e risolvere il problema delle immigrazioni sul vecchio continente con la forza e la cultura che sa esprimere, c’è una dimensione dell’accoglienza che va sostenuta oltre che dalla generosità del popolo da partiti e nazioni in grado di tradurre questo grande bisogno umano in leggi e istituzioni coerenti.

Se partiti e nazioni pretendono di interpretare una esperienza popolare così genuina in modo contrario, delle due l’una: o sbaglia il popolo o sbaglia chi dice di interpretarne le ragioni.