La Camera dei deputati dell’Uruguay ha approvato un disegno di legge per affidare alle autorità statali la produzione, la distribuzione e la vendita della marijuana. La riforma, che ora dovrà passare al vaglio del Senato, è appoggiata dal governo del presidente Jose Mujica, il quale ha affermato che in questo modo sarà possibile privare gli spacciatori dei loro profitti e impedire che i giovani finiscano per ricorrere a droghe più pesanti. Ilsussidiario.net ha intervistato Silvio Cattarina, fondatore della Comunità terapeutica educativa per minori devianti e tossicodipendenti.



Che cosa ne pensa della proposta di legge sulla liberalizzazione e la legalizzazione della marijuana in Uruguay?

Sono contrario sia alla liberalizzazione, sia alla legalizzazione, sia al controllo da parte del governo di produzione, distribuzione e vendita della marijuana. La droga in quanto tale è qualcosa di dannoso, grave e negativo, soprattutto per i giovani ma anche per chi è in età matura. Il consumo di stupefacenti è una situazione drammatica contro la persona e contro la famiglia, e qualsiasi uso di sostanze psicotrope provoca conseguenze per la salute.



Che cosa ne pensa del fatto che lo Stato arrivi a gestire il commercio di marijuana?

Non trovo giusto che lo Stato si arroghi il diritto e la potestà di somministrare sostanze così pericolose e sicuramente nel tempo mortali. Se mi consente una provocazione, non si vede allora perché il governo non faccia anche i funerali gratis, o non procuri le casse da morto a prezzi convenzionati per chi fa uso delle sostanze stupefacenti. Per uscire dal paradosso, sarebbe meglio che lo Stato sostenesse le comunità terapeutiche per aiutare i ragazzi a liberarsi dalla schiavitù della droga.

Davvero ritiene che la marijuana possa essere mortale?



No, non è mortale, ma è comunque qualcosa di negativo. Il suo utilizzo prolungato e reiterato può portare in taluni casi al consumo di droghe più pesanti e dannose. La marijuana può dunque incoraggiare la persona a mettersi in situazioni ancora più pericolose.

Che cosa ne pensa dell’idea che lo Stato, commercializzando la marijuana, faccia concorrenza alla criminalità?

Se uno Stato non è in grado di contrastare la criminalità con le forze dell’ordine, non può neanche pensare di impensierirla facendole concorrenza. Nei commerci e nei traffici illegali, la malavita sarà sempre più forte dello Stato.

 

Allora perché il governo per battere la mafia non diventa mafioso esso stesso, organizzando i rapimenti e chiedendo i riscatti?

O sulla base della stessa logica del disegno di legge dell’Uruguay, il governo potrebbe anche gestire la prostituzione e i traffici illeciti. Non si capisce quindi perché con lo spaccio di marijuana si possa fare e con altri reati invece no.

 

Una delle motivazioni fornite dal governo dell’Uruguay è che in questo modo si evita che i giovani facciano uso di droghe più pesanti. E’ davvero così?

E’ illusorio e velleitario pensare questo. Il problema è nel cuore dei giovani che desiderano consumare le droghe, siano esse pesanti o leggere. A prescindere dalle leggi più o meno restrittive nei confronti dell’utilizzo degli stupefacenti, il problema è il dramma e la sofferenza che vivono i giovani. Si tratta di un problema di senso, di significato, è una difficoltà educativa. Il fatto che lo Stato si metta a produrre e a distribuire la marijuana al posto della criminalità organizzata non risolve quindi il dramma nel cuore di queste persone.

 

Chi consuma marijuana lo fa per un dramma profondo o soltanto per divertirsi per una serata?

Fatico a credere che ci sia un desiderio così diffuso di divertirsi con la marijuana. Credo piuttosto che chi ricorre alle droghe, anche leggere, abbia un disagio. E’ poi probabile che non lo voglia ammettere, ma non riesco a pensare a un utilizzo della marijuana come se fosse un passatempo dilettevole. La vita e il mondo moderno offrono tante altre possibilità. Se si ricorre alla marijuana si desidera sballare, poco magari, ma si punta a vivere stati emotivi e psichici diversi dalla normalità e dalla realtà.

 

(Pietro Vernizzi)