“To serve my Queen and love my God”: servire la regina e amare Dio: generazioni di scout britannici, fin dai tempi del fondatore Sir Baden-Powell, hanno pronunciato queste parole nel loro giuramento di appartenenza a questa straordinaria esperienza giovanile (e non solo). Il grande educatore inglese dello scorso secolo era stato una sorta di don Bosco laico e anglicano: il suo intento – attraverso lo scoutismo – infatti era quello di contribuire a formare buoni cittadini e buoni cristiani. Ora questo giuramento, nel clima culturale di cristianofobia che si respira in Occidente e in particolare in Gran Bretagna, non è più accettabile, così almeno la pensa la dirigente femminile del movimento scoutistico inglese, Gill Slocombe, che ha deciso di rimuovere il riferimento a Dio dal giuramento.



Resta il servire la regina, ci mancherebbe, ma quell'”amare Dio”, peraltro molto concreto e ben poco fideistico, o confessionale, non va bene. La logica è quella ormai ben nota presente in tutte le operazioni di cristianofobia: non bisogna discriminare chi appartiene ad altre religioni, o chi non possiede alcuna religione. Rispetto ad altre occasioni analoghe, tuttavia, c’è da segnare con piacere una risposta decisamente vivace arrivata sia dalla base dello scoutismo inglese, con una riunione di guide tenutasi ad Harrogate che ha ribadito la volontà di continuare a pronunciare, inalterato, il giuramento storico, e anche dai vertici della Chiesa anglicana, solitamente piuttosto timida ed incline a rispettare il “politicamente corretto”. Alcuni vescovi anglicani si sono fatti sentire, ricordando la necessità che lo scoutismo mantenga il riferimento alle tradizioni cristiane del Paese, un riferimento che peraltro, così come è espresso, ricorda non una componente fideistica del passato e del presente britannico, ma l’essenza stessa della identità del Paese.



Si potrebbe commentare che l’identità nasce infatti dal riconoscimento di radici, esperienze, sensibilità ed interessi comuni. Ebbene nulla meglio del cristianesimo può esprimere tutto questo per gli inglesi, e non solo per loro. Ciò senza affatto discriminare mussulmani, induisti, sikh e così via. Quello che i cristianofobi vogliono ottenere è l’annullamento di questa identità. Per sostituirla con cosa? La Slocombe vuole introdurre queste parole nel giuramento, al posto di “amare Dio”: “prometto di non tradire me stesso e di sviluppare le mie credenze”. Estremamente significativo: non più un rapporto di relazione, un amore a un Altro, ma una fedeltà a se stessi, uno sviluppo di sé.



Uno dei più grandi intellettuali cattolici inglesi del ‘900, Hilaire Belloc, già novant’anni fa scriveva nel suo Saggio sull’indole dell’Inghilterra contemporanea: “Quando gli uomini abbandonano l’adorazione di Dio e dei santi cominciano ad adorare sé stessi“. E precisava: “L’Io si presta ottimamente a questo culto perché il proprio Io è un modello di perfezione, e soprattutto non è possibile metterne in dubbio l’esistenza. Il culto di noi stessi ha il grande vantaggio di essere culto di qualche cosa che certamente esiste, la cui presenza è certa, a portata di mano e, per noi, oggetto di sconfinata ammirazione. Ma adorare, per la natura stessa dell’atto, significa pagare un tributo, che deve necessariamente rivolgersi a un oggetto esterno. Il culto di noi stessi non può dunque attuarsi che in una forma riflessa. La forma più corrente di questo culto è quella che ha per suo oggetto l’umanità. Dal culto dell’umanità ci vengono religioni come quella del Socialismo, della Fratellanza Universale, del Credo della Bontà Universale e simili“.

Il distogliere lo sguardo da Dio conduce dunque inevitabilmente agli idoli, dal proprio ego fino alle ideologie. La fedeltà e l’amore non possono che essere rivolti agli altri, è l’esigenza inscritta nella natura stessa della persona, tradendo la quale l’uomo non è più uomo. Sembra un paradosso, ma in realtà difendere il diritto di amare Dio, come dice il giuramento originale, significa difendere la possibilità di amare veramente il prossimo. Afferma la trascendenza della persona. Se si nega e si spezza questo legame, quest’alleanza originaria, la vita diventa un puro sperimentare, un mero vagare senza meta.