Il Meeting di Rimini si è chiuso sabato scorso guardando alla prossima sfida, che, come sempre, coincide con il tema proposto: “Verso le periferie dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”. Domenica, sul Corriere della Sera, Giorgio Vittadini ha fatto un suo bilancio. “Per non ridurre il nostro compito all’egemonia, come ci richiamava don Giussani prima e don Carrón adesso, dobbiamo chiederci cosa è davvero capace di soddisfare il nostro cuore”. Un tema centrale per Comunione e liberazione quello della dialettica tra testimonianza (della persona) ed egemonia (sulla società), se anche il laico Dario Di Vico, giornalista economico e firma di punta del quotidiano di Via Solferino, lo ha citato come problema di fondo del movimento nel suo editoriale dello scorso 18 agosto, quando il Meeeting sull'”Emergenza Uomo” apriva i battenti. Domenica gli ha fatto eco proprio Vittadini: “la gente è stanca di semplificazioni eccessive che hanno come unico scopo quello di ‘schierarle’ da una parte o dall’altra della barricata”. 
“Ho letto l’articolo di Vittadini” – dice Di Vico a ilsussidiario.net. “Purtroppo però non sono riuscito per impegni familiari a passare al meeting e quindi non ho elementi prima mano da poter confrontare con la sua analisi”.



Lei, da giornalista, crede che vi sia una grossa differenza tra quello che accade al Meeting di Cl e quello che ne dice la stampa?
Per quasi tutti gli eventi esiste una sorta di distorsione mediatica. Alla fine fa premio la dichiarazione del leader di turno, l’intervento più inatteso di uno dei relatori. Come accade in molti casi le cronache del Meeting diventano cronache del palco e non sono cronache delle platee. Diciamo che i giornali faticano un po’ a tenere insieme platea e palco. In questo c’è un limite che viene risolto in qualche occasione col solito pezzo di colore, che consiste per lo più nel rivolgere domande scomode ai giovani di Cl che sono sul posto. Ma è un format un po’ ripetitivo che ha fatto il suo tempo.



Nel suo editoriale lei ha toccato il tema del rapporto tra testimonianza di fede ed egemonia di potere in Cl. Vittadini ha fatto lo stesso nel suo articolo di ieri, dicendo che “la risposta non può che essere personale e mai scontata”. 
Sono pienamente d’accordo. La risposta non può non essere personale perché la sfera individuale è decisiva in materie come queste, ma c’è anche l’orientamento del Movimento che va tenuto presente. È importante, pesa.

Attendiamo, lei ha scritto nell’editoriale, di sapere qual è l’orientamento destinato a prevalere dopo i richiami di Carrón della primavera scorsa. Perché secondo lei è un problema aperto?



È chiaro che dopo le sofferte vicende della regione Lombardia c’è stata un’ampia discussione nella quale mi sembra che si siano evidenziati due orientamenti dal punto di vista del metodo: da un lato chi è aperto alle sollecitazioni e agli stimoli esterni (che non solo a loro volta il verbo!) e dall’altro chi invece preferisce chiudersi in trincea e vede qualsiasi stimolo esterno come un attacco al fortino. Io penso che Cl sia abbastanza adulta per non farsi assediare nel fortino, per scacciare questa sindrome e allargare l’ascolto anche alle altre culture.

Che cosa intende esattamente?
La grande crisi in cui ci troviamo non è solo economica. Per la sua ampiezza e per il suo carattere inedito è una crisi antropologica e allora mi chiedo se non possa avere un senso positivo una riflessione in cui credenti e laici ragionino in maniera aperta su quali sono i valori della ripartenza, quelli necessari per ricostruire un tessuto sociale ma anche nazionale che si è ampiamente sfibrato. Uno sforzo così richiede la disponibilità a dialogare e anche a contaminarsi. Perché Cl non si apre allo studio e all’analisi di studiosi esterni al movimento? Potrebbe rappresentare un segnale eccezionale.

Il Meeting si è aperto con una video-intervista di Napolitano e con un intervento di Enrico Letta dedicati all’Europa. Il vertice delle istituzioni e quello della politica.
Non farei un calcolo aritmetico sulle presenze dei politici, perché quello che conta è l’orientamento del movimento. Secondo me la riflessione che Cl potrebbe fare, e che sarebbe certamente molto interessante, è sulla forza della società. Ho l’impressione che a volte non creda fino in fondo alla potenza dell’autonomia della società, ma si rivolga subito alle sue protesi politiche e alle loro inevitabili declinazioni lobbistiche. Resta sul fondo una sfiducia che la domanda sociale da sola possa affermarsi nei suoi contenuti. Come se ci fosse sempre il bisogno di una delega: la stessa che un giorno viene concessa ad Andreotti, un giorno a Berlusconi un altro giorno a Enrico Letta, sottovalutando la forza “del basso” che viene “dal basso”.

John Waters, editorialista dell’Irish Times, ha centrato la relazione centrale del Meeting sul “bunker” nel quale la cultura positivistica confina l’uomo, imprigionando il suo desiderio. Che però, essendo indistruttibile, ha sempre una possibilità di riscossa. Cosa ne pensa?
Dobbiamo tutti sperare che sia così. Non dimentichiamo che non esistono solo la persona e il cielo della politica, ma in mezzo c’è l’infrastruttura sociale. A mio modo di vedere Cl dovrebbe scommettere di più sulla “società di mezzo” come interlocutore privilegiato della persona e meno sulla politica.

(Federico Ferraù)

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