Permettetemi di prendere una canzone di qualche anno fa scritta da Mario Venuti e cantata da Syria ed elevarla a sintesi della mentalità comune: «Non mi chiedo più se è peccato, se è un bene o un male: sai non sbaglia chi comunque va. E ogni giorno è un’avventura bella da ricominciare: ognuno vive solo come sa. Non fraintendetemi: non dico che ogni cosa è lecita, ci sono forze che non puoi spiegare; è l’esperienza che può insegnare prudenza: tutto va bene se non fai del male a nessuno».



Ci arriva intanto una brutta notizia da Saluzzo: un insegnante di lettere cinquantasettenne agli arresti domiciliari perché accusato di rapporti sessuali con almeno un paio di alunne minorenni. È una delle tante notizie che non fanno nemmeno in tempo a essere ascoltate che già suscitano indignazione. Diamo un’occhiata al titolo, a stento tendiamo l’orecchio al servizio del telegiornale e subito ci sale lo schifo: «O tempora! O mores!», direbbero gli insegnanti di lettere come lui.



Ma, come sempre, le cose vanno viste da vicino. E avvicinandoci a Saluzzo ci accorgiamo di un paio di notizie ulteriori. La prima è che le alunne coinvolte non lo accusano di nulla, non si costituiranno parte civile nel processo. Perché non ci fu scambio di voti e prestazioni, ma, a detta loro, innamoramento sincero. 

È preistoria Gigliola Cinquetti che canta «Non ho l’età per amarti». Ora Scusa ma ti chiamo amore & co. ci ha insegnato che l’amore non ha età, la prof.ssa Tatangelo che «l’amore non ha sesso: il brivido è lo stesso» e il luminare Checco Zalone ha chiosato che «l’amore non ha religione, non è cattolico non è mormone», «l’amore è quando ti diventa grosso grosso grosso (il cuore)»



Anche qui possiamo stracciarci le vesti: gli adulti non sanno quel che fanno, le ragazze non sanno quel che dicono. Insomma, possiamo raffinare le nostre parole quanto vogliamo, resta che quel che pensiamo si riduce fondamentalmente a poche battute: «certe cose non si fanno. Non doveva succedere, e basta». Il fatto, però, è che la cosa è successa. E un fatto, al contrario di un’opinione, ha la sua ineluttabilità. 

Quando succede quel che non doveva succedere, cosa facciamo? Continuiamo a dire che non doveva succedere? Ci basta annullare gli eventi, parlare a prescindere da quel che accade? Insomma, se potessimo tornare indietro non rifaremmo certi errori: Ritorno al futuro sarebbe la soluzione buona per tutto? Oppure, data l’irreversibilità degli eventi, l’unica alternativa rimane l’istinto manettaro (e manicheo) di mandare in galera tutti quanti? 

Certo, è in piedi un’ipotesi di reato. E quell’uomo dovrà rendere conto a un tribunale. Ma qual è il vero tribunale a cui lui, e le sue alunne, e noi, dobbiamo rendere conto? Mi pare che in giro ce ne siano sostanzialmente almeno quattro: uno è quello dei giudici, che dovranno stabilire se c’è un reato e quale condanna emettere; un altro è quello della coscienza (modernamente intesa), in cui ciascuno dovrà esaminare le sue colpe e trovare (si spera) la forza di andare avanti; poi c’è l’opinione pubblica, che condanna a prescindere, sputtanando, massacrando, creando mostri e mettendosi a posto la propria coscienza (sempre con la bava alla bocca per il prurito del proibito: il caso fa notizia in quanto evoca la spiata dal buco della serratura, Alvaro Vitali e Nadia Cassini, L’insegnante balla con tutta la classe eccetera eccetera); c’è un ultimo tribunale, infine, che è Dio, di fronte a cui c’è il peccato. E c’è anche il perdono. 

Farebbero bene gli indignati e i giustizialisti dei nostri giorni a smetterla di fare omelie sui tabù che cadono e a tornare a chiedersi di un fatto «se è peccato, se è un bene o un male», perché non è vero «che non sbaglia chi comunque va». Quest’uomo, queste ragazze hanno sbagliato, e nemmeno 57 anni di «esperienza può insegnare prudenza»; poi non è vero che «tutto va bene se non fai del male a nessuno»: perché, a quanto pare, le ragazze non ritengono di aver ricevuto alcun male. Il male quest’uomo l’ha procurato a se stesso.

Qui sta la vera notizia: la lettera a La Stampa delle ragazze di quella classe. Che non lo scagionano né lo demonizzano. Scrivono: «Quando spiegava Dante o Foscolo lui era lì, all’Inferno, nel girone dei traditori con il Conte Ugolino a piangere per la miseria e la disperazione di un essere umano lasciato solo a compiere miserabile atti. […] Ora, vedere sulle prime pagine dei giornali che quella stessa persona è stata capace di compiere atti disdicevoli ci fa male; sappiamo che negli ultimi tempi era infelice, era nervoso, non stava più bene con se stesso. Per noi era un mito. Ora abbiamo capito che anche lui, semplicemente, è un uomo. E come tutti gli uomini, può cadere in tentazione e commettere errori. Lui ha sbagliato e ora sta già pagando e continuerà a farlo con onestà e consapevolezza». 

Di «errori» così, purtroppo, ce ne sono ormai tanti. È di lettere così che, purtroppo, ce ne sono ormai poche. È il più bel compito di italiano di quella classe, che si scrolla di dosso ogni possibile voto: un abbraccio più carnale del sesso, più appassionato dell’innamoramento. «Ha sbagliato», perché è un uomo. Nel mondo del “che male c’è?” riconoscere il proprio male è il primo passo perché inizi una novità che non possono nemmeno immaginare quelli che non si chiedono mai se una cosa «è bene o male»

La Divina Commedia inizia esattamente di qua: da un uomo che si accorge di trovarsi nella «selva oscura» e a un altro grida: «Miserere di me». So che ci sono tanti uomini migliori di quell’insegnante, migliori di Dante, migliori del conte Ugolino, migliori di me. Loro non sbagliano, non finiscono nella selva oscura. Se la sono colorata per bene, la selva, e in fondo ora ci stanno anche comodi: c’è un bel venticello, e non fa caldo. E poi dipende dai punti di vista: non è oscuro quel che è oscuro ma è oscuro quel che non piace. E poi “oscuro” a chi? È una parola un po’ razzista. 

Quest’uomo ci è finito dentro fino al collo, nella selva oscura. E forse non se la può colorare. Come non potranno colorarsela quelle ragazze. Ma un raggio di sole già filtra lì dentro. Ed è il raggio di quella lettera: persone che lo trattano da persona, e lo tirano fuori dal massacro a cui lo sottopone, prima che l’indignazione della gente e l’umiliazione della galera, la propria coscienza: «Sappia che noi, nonostante tutto, le saremo vicine sempre, o come piacerebbe a lei, finché il sole risplenderà su le sciagure umane».