Lo scorso 11 luglio la Congregazione per i Religiosi ha commissariato la congregazione dei Francescani dell’Immacolata, istituto religioso fondato nel 1965 dal conventuale Stefano Maria Manelli col desiderio di vivere il francescanesimo alla lettera e in una totale consacrazione a Maria Immacolata. Lo scorso 1 agosto la Corte di Cassazione di Roma ha confermato la condanna di Silvio Berlusconi, fondatore e presidente del Popolo della Libertà, a 4 anni di reclusione – di cui tre abbuonati per via dell’indulto del 2006 – e all’interdizione agli uffici pubblici per un numero di anni ancora da definire. Due casi completamente diversi. L’uno tratta di un istituto religioso che, in alcune sue frange, avrebbe interpretato il Concilio Vaticano II come un evento in discontinuità con la grande tradizione della Chiesa (fino a guardare con sospetto la stessa celebrazione della Messa con il Rito di Paolo VI). L’altro condanna il leader del principale partito italiano a causa di un’evasione fiscale che i giudici hanno ritenuto conclamata e profondamente pensata. Eppure entrambi questi casi, nella loro totale diversità, presentano delle analogie notevoli che è bene sottolineare e considerare attentamente.



Un primo punto riguarda il rapporto tra diritto e vita. Benedetto XVI non ha mai preso alcuna decisione pastorale al di fuori di un’ottica teologica. Per Ratzinger è la nostra conoscenza di Cristo, e la nostra amicizia con Lui, a suggerirci – in ogni circostanza – la strada giusta da percorrere. Così, partendo da questo presupposto, come in Dio l’unità della sostanza ammette la triplicità delle Persone, così nella liturgia della Chiesa, l’unità dell’adorazione a Dio può tranquillamente ammettere la pluralità dei riti. In forza di ciò, nel 2007, col motu proprio Summorum Pontificum, Benedetto XVI ha ammesso la possibilità di celebrare la Santa Messa anche secondo la forma straordinaria rispondente al rito codificato sotto Pio V e in uso nella Chiesa fino al 1962 (la cosiddetta “messa in latino”). Questa decisione, oltre ad avere una solida base trinitaria, aveva anche il conforto teologico di un’idea di Chiesa che Benedetto espresse fin dal lontano 2005 con i celebri auguri di Natale alla Curia Romana. In tale circostanza il Papa Emerito descrisse la Chiesa come un organismo vivente in cui tutti gli eventi segnano una certa discontinuità, ma all’interno di una forte e profonda continuità col passato. Il Vaticano II, dunque, è certamente qualcosa di nuovo nella vita della Chiesa, ma esso si situa in profonda continuità con la tradizione bimillenaria precedente. Questo è l’orizzonte più vasto in cui tutte le decisioni contingenti vanno esaminate e deliberate, e in cui maturò la stessa decisione del Pontefice tedesco di riaprire le porte al messale tridentino: in punta di diritto la messa di Pio V era stata bandita dallo scenario ecclesiastico in nome di una riforma che favorisse la più fruttuosa partecipazione dei fedeli alla liturgia della Chiesa. Ratzinger, guardando alla globalità del contesto, intese superare lo stesso diritto per determinare una situazione più rispondente alla realtà delle cose, dimostrando che la legge è al servizio della vita e non viceversa. In questo modo ha offerto al mondo un esempio di che cosa volesse dire “agire con giustizia”, mostrando che la Giustizia – a volte – è più grande della legge e che, in certi casi, è la legge che deve adeguarsi alla Giustizia e non viceversa. In questo senso la Corte di Cassazione poteva benissimo giudicare del reato in esame con parametri più ampi di quelli del diritto vigente. Essa aveva la facoltà di inserire il proprio giudizio tecnico all’interno di un quadro che, comunque, avrebbe caricato il verdetto di un alto valore simbolico. Questa facoltà c’era tutta. Ma non è stata usata.



C’è un secondo punto, allora, che riguarda il rispetto per l’autorità. Benedetto XVI ha operato in un certo modo, conciliando il diritto con una Giustizia superiore, la Corte di Cassazione abbiamo detto che questo non lo ha fatto. Spetta all’autorità costituita stabilire quando è giusto intervenire sulla Legge a favore di un motivo più complesso. L’intervento straordinario, in altre parole, non è appannaggio dei giornali di osservanza berlusconiana, né dei tifosi della messa di Pio V, ma solo del Papa o – nel caso dello Stato – della Corte di Cassazione. In altre parole: una legge si può orientare per ragioni di stato (io non mi scandalizzo) ma se non viene modificata o viene interpretata in modo avverso alla nostra sensibilità, è il profondo rispetto per il legislatore che deve prevalere. Rispettare il Papa, come rispettare le sentenze di un tribunale umano (a meno che esso non sia in palese contrasto con la legge naturale o eserciti il proprio mandato in maniera dispotica e contro il popolo), è per un cristiano un obbligo morale insito nel quarto comandamento: “onora tuo padre e tua madre”, ossia “rispetta le autorità che ti sono date”.



Infine, ultima considerazione: nessuna condizione incide sull’ideale perseguito quando esso è autentico e vero. Ci possono essere nella storia dei provvedimenti ingiusti, ma tali provvedimenti non impediranno mai – a chi onestamente vuole percorrere un certo cammino – di continuare a seguirlo con verità e umanità. Il fatto che un’autorità esterna sanzioni un comportamento, che magari non è neppure avvenuto, restituisce comunque alla persona o alla comunità sanzionata il senso del limite e il dovere del rispetto, liberando e purificando chiunque da un senso di onnipotenza che le molte vocazioni o le molte vittorie elettorali possono insinuare nel cuore di ciascuno. Per tutti, insomma, questa può essere una buona ripartenza. Quante volte, infatti, la vita ci illude di avere più spazio di quello che realmente abbiamo, quante volte pensiamo che certi nostri comportamenti siano pienamente giustificabili da altri che riteniamo più ignobili o da circostanze evidentemente eccezionali? La sentenza berlusconiana e il provvedimento pontificio ci dicono la stessa cosa: possiamo lottare per qualunque cosa, ma dobbiamo sempre tenere alto il senso di noi stessi e della nostra finitudine. Pena una tracotanza che, laddove non diventi reato, può certamente essere annoverata tra i peccati più gravi della vita spirituale.

Non è poco: è il monito che chiunque ama “costruire storia” sente di necessitare per operare in maniera più matura e più consapevole.