Ennesima (presunta) svolta nelle indagini sul caso dell’omicidio della piccola Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate trovata morta tre anni fa in circostanze mai chiarite. La novità arriva da una chiesetta, nell’interland milanese, e non da Gorno, un paese messo sotto la lente dopo le rivelazioni che parlavano di un misterioso figlio segreto del presunto padre dell’assassino tra gli abitanti del paesino della bergamasca.



La notizia arriva dalla cappelletta dell’ospedale Salvini di Rho. Siamo lontani dal campo dove è stato trovato il corpo senza vita della tredicenne, ma per un assassino la colpa è compagna per tutta la vita. Il rimorso potrebbe aver spinto l’autore del delitto a vergare una frase-shock sul libero delle visite della cappella, poche righe scritte con mano sicura (già al vaglio dei grafologi): «Informate la polizia di Bergamo che qui è passato l’omicida di Yara Gambirasio. Che Dio mi perdoni».



La cautela è d’obbligo, perchè dopo tanto brancolare nel buio – purtroppo – la notorietà del caso ha spinto diversi personaggi, mitomani, burloni, persone disturbate, ad immedesimarsi con l’assassino o con persone informate dei fatti. Una triste consuetudine che non ha confini e non fa altro che aggiungere dolore e afflizione ai genitori della piccola cui sembra venga costantemente negato il diritto alla verità.

Ora il libro è al vaglio degli inquirenti, affidato alla polizia scientifica che sta dando la caccia all’assassino di Yara da oltre due anni, e questi stessi esperti hanno già cominciato una analisi meticolosa del reperto in cerca di tracce biologiche, impronte digitali, di ogni piccolo indizio che possa – sommato ad altri – svelare una strada per la verità. Nel frattempo il legale della famiglia ha fatto sapere che i genitori, nonostante tutto, continuano a riporre massima fiducia nel lavoro di investigatori e magistrati, nella speranza che anche questa non si riveli una falsa pista.



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