Bisogna dirlo, stavolta Cécile Kyenge l’ha sparata grossa. Ospite alla Festa del Pd a Cantù la discussa ministra di origine congolese ha avuto un’uscita a dir poco infelice: “Il fatto che la legge obblighi a far vedere il viso deve valere per tutte le donne, comprese anche le suore, perché non insistiamo su questo aspetto? Il principio è sempre quello. Applichiamolo senza avere pregiudizi”. Un’affermazione inopportuna non tanto perché ha dato prova, ancora una volta, di quanto siano deboli e vane le sue argomentazioni, condite da qualche assurdità, ma soprattutto perché non permette di sorvolare su chi, nella veste di ministro dell’integrazione, si dimostri così incompetente in tematiche cruciali, e al contempo basilari. La Kyenge si è fatta portabandiera dei più fuorvianti pregiudizi, idee e preconcetti inutili e non veritieri. Al di là della dimostrazione di come ignori la differenza tra velo islamico da una parte, e niqab e burqa dall’altra, in un periodo in cui il dibattito sull’Islam sta prendendo piede in occidente, è impensabile che trascuri il sostanziale divario tra il significato di tali indumenti e del velo delle suore. La ministra probabilmente crede che il velo cosiddetto islamico sia considerato parte integrante di una tradizione religiosa. In realtà questo deriva da un’esegesi letterale del Corano, isolata dal suo contesto storico, che ha permesso di dare interpretazioni univoche in grado di nascondere le insufficienti fondamenta su cui poggia.
Il velo non ha fatto altro che assumere ed assorbire diverse connotazioni negative, proprio perché indossarlo non è, in realtà, un precetto religioso, un “pilastro dell’Islam”. Le modalità del suo utilizzo non sono esplicitamente scritte nel Corano, e ad affermarlo, oltre agli intellettuali arabi, tra cui spicca il nome di Mustafa Rashid, sono gli stessi imam, quelli più moderati s’intende. Anche in Italia esistono tantissime donne che, per rispettare una volontà maschilista, sono costrette a velarsi alcune sotto la minaccia continua della violenza fisica e psicologica. Per questo motivo, intorno al velo si è creata una sorta di aura fatta di congetture che devono essere distinte e chiarificate. Ancora diverso è il niqab, che costituisce un’aggiunta fatta dal radicalismo. Non esiste, infatti, nessuna prova sharitica che lo attesta. I sostenitori di questo indumento sono coloro che vogliono favorire l’affermazione di un altro tipo di Sharia Islamica, completamente differente dall’originale, che è quella wahabita. Vogliono così la legittimazione di un sistema di norme tramite metodi e strumenti non adeguati. Si può quindi dire in tutta serenità che il niqab non fa parte del quadro culturale islamico, ma è solo uno strumento messo in campo dagli impostori che agiscono in nome della stessa religione. Per non parlare infine del burqa afgano, il cui obbligo di indossarlo è conseguenza di tradizioni locali, totalmente indipendenti dalle prescrizioni religiose dell’Islam.
Tutt’altro significato ha il velo delle suore, che intanto rende sempre ben visibile il volto, e, oltre ad essere religioso, è espressione di una libera scelta e di conseguenza non soggetto ad alcuna imposizione. Per le suore portare il velo, sopra i capelli tagliati corti o addirittura rasati, è segno del sacrificio della bellezza femminile mondana fatto per riaffermare la propria appartenenza a Cristo. Una questione di rispetto, del dono di sè a Dio fatta in piena libertà e che trasforma una caratteristica della femminilità mondana, in qualcosa che renda evidente a tutti la propria appartenenza, devozione e sottomissione al Signore, di cui sono perenni spose. E guai se questa, che è una affermazione della propria identità e della propria vocazione si esplicitasse nella dissimulazione del proprio volto, che rimane aperto al mondo. Nemmeno le monache di clausura si coprono il volto, perchè una suora cattolica, pur nell’umiltà e scansando la vanità, non perde mai l’unicità della propria persona!
La ministra dovrebbe preoccuparsi di più a cosa afferma, piuttosto che a recriminare un clima di pregiudizio nei suoi confronti, a suo parere esclusivamente di stampo razzista. La realtà è che sono proprio le sue continue provocazioni a creare tensioni, e la sua vaghezza e superficialità dimostrano la sua totale inadeguatezza nell’affrontare i problemi nel concreto. Inutile spostare l’attenzione su una presunta non tolleranza verso gli immigrati, gli stessi dei quali non conosce tradizioni e culture. Le ragioni che vietano il burqa nel mondo occidentale non sono legati all’espressione di una religiosità, ma a ben altro, mentre il ministro, attaccando la Chiesa, ha manifestato un atteggiamento antireligioso intollerabile.