“Continuo ad avere attacchi di panico e incubi, ogni volta che vedo uno sconosciuto per la strada penso che sia un prigioniero che ho conosciuto. Quando succede scoppio a piangere e non riesco più a respirare”. A dirlo, durante un’intervista rilasciata alla Abc, è Amanda Knox. La studentessa di Seattle, che non sarà in Italia il prossimo 30 settembre per il nuovo processo d’Appello a Firenze, ha raccontato delle sedute di psicoterapia per superare il trauma lasciatole dal periodo trascorso in carcere: “Ho cominciato a parlare di quanto fosse stato difficile tornare a casa e tornare in un mondo famigliare, ma mi sentivo come se dovessi imparare tutto da capo. Dopo un po’ cominciavo a piangere. Non riuscivo più a parlare e dovevo andarmene. Lasciavo a metà la seduta e me ne andavo. Il mio ragazzo mi veniva a prendere e passavo il resto della serata a piangere”. In un’intervista esclusiva che pubblica invece il settimanale “Oggi” in edicola, la Knox ribadisce la propria innocenza: “Io non ho ucciso Meredith. Non ho ucciso la mia amica e ho anche pensato di andarci, a Firenze, perché mi fa impazzire l’idea che qualcuno possa gonfiare il petto, puntare il dito contro la mia sedia vuota e dire che mi sono macchiata di un crimine che non ho commesso”. Milioni di volte, spiega ancora la giovane, ha tentato di avvicinare i familiari della ragazza trovata senza vita a Perugia, ma alla fine non è riuscita “perché ho paura che loro la considerino una strategia legale o mediatica. Non voglio che pensino questo di me. Leggo le loro dichiarazioni sul processo, su Meredith. Ho letto il libro di John Kercher. Sono stata assorbita e annientata dalle udienze, dalla prigione. Non ho ancora avuto la forza di piangere, di metabolizzare la perdita di Meredith. Ma voglio essere in grado di incontrarli, un giorno, voglio andare con loro sulla tomba della mia amica”.



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