Anche sul tema, frequentatissimo, del rapporto tra cattolici e politica, papa Francesco è riuscito a dire qualcosa di nuovo, qualche giorno fa nell’omelia che ha tenuto a S. Marta. Ma è facile banalizzare le sue parole. Sulla bocca di un papa, un ulteriore invito alla preghiera può sembrare ovvio. Ed è forte a la tentazione di passare oltre, sottolineando invece le parole da lui dette su chi governa, che “deve amare il suo popolo”, essere umile, ascoltare le opinioni di tutti per scegliere la strada migliore ecc. In questo modo, però, si censura il problema posto dal papa invitando a pregare per i politici: il problema, cioè, dell’atteggiamento di chi è governato nei confronti di chi governa. Si colloca infatti qui – più ancora che nella mediocrità o nella inadeguatezza dei politici – la malattia profonda della democrazia contemporanea.
Francesco ha saputo scavare in profondità nelle banalità ossessivamente ripetute ogni giorno sull’inaffidabilità dei politici. “C’è l’abitudine di dire solo male dei governanti e fare chiacchiere sulle ‘cose che non vanno bene’: e tu senti il servizio della Tv e bastonano, bastonano; tu leggi il giornale e bastonano … sempre il male, sempre contro!”. A papa Francesco non interessa riabilitare una categoria ampiamente screditata, non interessa stabilire se i politici siano buoni o cattivi, sembra anzi dare per scontato che dicano o facciano molte cose sbagliate. “Il governante, sì, è un peccatore, come Davide lo era”. Ma non si compiace, come tanti ecclesiastici, di rivolgere ai politici buoni consigli, tanto generici da somigliare ai pensierini della zia.
Cerca piuttosto di affrontare la complicità profonda che, contrariamente alle apparenze, lega governati e governanti. Nelle sue parole, si avverte l’eco di tanti brani evangelici, a cominciare da quello dell’adultera in cui risuonano le parole “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” che non assolvono chi è colpevole ma inducono tutti, a partire dai più vecchi, a interrogarsi su se stessi. Qualunquismo e demagogia, malgoverno e corruzione sono problemi legati strettamente tra di loro, per cui Francesco indica una cura unica e radicale: l’assunzione delle proprie responsabilità da parte di ciascuno.
I cittadini, afferma il papa, soprattutto se cattolici, non possono disinteressarsi della politica. Se “tante volte abbiamo sentito: ‘un buon cattolico non si immischia in politica’ questo non è vero, quella non è una buona strada”: “un buon cattolico si immischia in politica”, con “idee, suggerimenti” e soprattutto con la preghiera. C’è un messaggio profondamente laico in questo invito alla preghiera, che può essere colto da tutti, credenti e non credenti.
Oggi, in Italia, sono evidenti gli esiti fallimentari della rivoluzione di Mani pulite lanciata venti anni fa, quando la società civile ha creduto di poter liquidare un intero ceto politico affermando la superiorità morale dei cittadini comuni su chi si occupa di politica. Ma è raro che, nella stessa società, chi governa sia radicalmente diverso da chi è governato e, perciò, molte rivoluzioni sono tali solo in apparenza e si concludono con esiti fallimentari.
Pregare per chi governa è, invece, sicuramente rivoluzionario. Spinge a riconoscere la trave nel proprio occhio, prima di insistere sulla pagliuzza negli occhi dell’altro, a mettere in discussione la propria lontananza e il proprio disinteresse, il proprio vittimismo e il proprio protagonismo. Pregare significa, soprattutto, rinunciare alla propria violenza. Nel circolo vizioso dell’irresponsabilità che unisce governati e governanti si nasconde infatti molta violenza. Papa Francesco ci fa capire che la rabbia dei cittadini verso i politici e la politica non può essere giustificata né tantomeno alimentata, perché non mira né a cambiare la realtà né a costruirne una nuova, ma a conservare i propri privilegi e a distruggere il bene comune. Ha torto Beppe Grillo quando nasconde il vuoto di proposta politica del Movimento 5 Stelle alimentando torbidamente questa rabbia, ha altrettanto torto Berlusconi quando fa lo stesso alimentando la sfiducia contro le leggi e le istituzioni. Fa male Renzi quando fa credere che basti rottamare i “vecchi” (gli altri) e fare spazio al “nuovo” (lui stesso) per cambiare davvero le cose. E l’elenco potrebbe continuare.
Anche la Chiesa e i cattolici sono abituati ad ascoltare le prolusioni dei presidenti della Cei sulla situazione politica del paese. Ora, forse, la radicalità di papa Francesco chiede a tutti di più.