Quello della Costa Concordia, dopo esser stato una tragedia, è diventato uno spettacolo in tre atti. Il primo atto è stato il trionfo della lentezza. Dal punto di vista mediatico andrebbe studiato, come fu per la diretta di Vermicino, o delle Torri gemelle. Per un giorno intero decine di telecamere hanno fatto la cronaca di un evento in cui non si vedeva accadere nulla. La Concordia ruotava con l’impercettibile progressione con cui la terra gira intorno al sole, o si schiude il bocciolo di una rosa, o cresce un bimbo nel ventre della madre.
Questa lentezza è il contrario di quello che dovrebbe essere un evento televisivo. Nello strano assortimento dei programmi tv ci sono eccezioni: ad esempio, in Giappone una emittente ha trasmesso a lungo l’inquadratura fissa di un acquario, forse per rassicurare il pubblico. Tuttavia, la norma vorrebbe che l’autore televisivo costruisca la scaletta del suo programma come il compositore una melodia, alternando pause e movimento, ma sempre con ritmo. Lo spettatore, se avverte bonaccia, può sganciarsi con un semplice schiacciar di tasto. Al Giglio, invece, di movimento non se ne vedeva. Ma c’era. La prima cosa da notare è che l’evento era così rarefatto che poteva essere seguito successivamente su diversi canali, senza timore di perderne parti. Primo esempio, forse, di programma trasversale alle reti. Ma poi, tanta lentezza, che sembra inconcludente, ha il suo lato interessante anche per la vita.
A parte, anzi a fianco della continua frettolosa agitazione del nostro tempo, le cose grosse, quelle di tonnellaggio vero, accadono sì sotto i nostri occhi, ma senza che ce ne rendiamo veramente conto. Così, ad esempio, un bel giorno ti accorgi che i figli sono cresciuti: dalle foto appese in cucina ridono con la prima cartella sulle spalle, ma ora vivono altrove e son diventati padri. Oppure, incontri un amico ed è impensabilmente cambiato. Oppure, torni in un posto che hai lasciato e trovi germogliate cose bellissime. La mattina abbiamo scoperto la nave raddrizzata. Anche la notte si è fatta alba e non sapremmo dire quando tutto ciò è cominciato. Ma guardando bene, fissando con attenzione lo schermo della vita, si vede che alcune cose si muovono e risalgono, già ben oltre la linea di galleggiamento.
Il secondo atto è quello trasmesso dai telegiornali di ieri. Attraverso il trucco della velocizzazione delle immagini si è potuto finalmente vedere l’accaduto. Il bestione di ferro che sembrava immobile, è apparso un canotto da spiaggia, che si ribalta con facilità. Chissà se sarà così il flash back della nostra vita, quel giorno.
C’è comunque da riflettere sul paradosso del media televisivo. Tanto era impotente a rendere conto del cambiamento in atto, tanto si è rivelato straordinariamente efficace nel mostrarcelo dopo. Dobbiamo perciò smettere di pensare che la diretta sia neutralità. E che basti collegarsi con una piazza per avere gli umori del paese. In questo caso il montaggio, che saremmo portati a pensare più soggetto alle manipolazioni, è stato più sincero. Nello strumento televisivo non conta il linguaggio, ma sempre l’autore. Né la diretta né il montaggio sono sinonimi di verità, ma neppure di falsità. Oltre a dipendere dall’autore, dipende anche dallo spettatore, perché è sempre in lui la chiave di interpretazione e il criterio di giudizio e paragone.
Infine il terzo atto è l’immagine che abbiamo visto dopo il raddrizzamento, all’alba. La nave ha rivelato il suo lato mostruoso, fatto di ruggine e lamiere accartocciate. L’intera fiancata deformata, come un viso preso a pugni. Lo scafo diviso tra la parte ancora bianca, quella rimasta in superficie, e la nera di sotto. Oggi la linea di galleggiamento segna quasi il confine, ma anche la compresenza di bene e male. Non ci si aspettava questa visione. Qui, senza preavviso, lo spettacolo ammutolisce e per un po’, per qualche benefico istante, riavvertiamo il suono di stupidità e tragedia. Per poco, perché la diretta è finita e, quando ce la porteranno via questa carcassa di nave, si passerà ad altro scoop. E l’acqua, come dice Dante, non ha memoria (“servando mio solco dinanzi a l’acqua che ritorna equale … Par. II ).