Non sono mai stata radicale, non condivido la maggioranza delle battaglie radicali, anzi sono sempre stata un’avversaria decisa e motivata dei loro referendum, per lo meno negli ultimi trent’anni. Loro da una parte e io, non solo d’istinto ma profondamente convinta, dall’altra parte. Penso ancora alla difficilissima battaglia per il referendum in difesa della legge 40, in cui la lotta è stata improba e capillare. Ma almeno quella volta abbiamo vinto noi… E ci impegneremo anche questa volta per stopparne con convinzione parecchi, nonostante abbiano tutto l’aspetto della famosa mela di Biancaneve.



Per questo non ho sottoscritto nessuno degli ultimi 12 referendum, alcuni dei quali, soprattutto quelli sulla giustizia, potrebbero essere interessanti. Manca appena un mese alla fine della raccolta delle firme e le mie perplessità restano, soprattutto per quelli più accattivanti. Penso ad esempio al referendum per Depenalizzare il consumo e legalizzare la coltivazione di cannabis, a cui i radicali hanno affidato il compito di cavallo di Troia, o come meglio si dovrebbe dire di questi tempi, di troyan virus.



Con tre milioni circa di consumatori abituali di droghe, spesso niente affatto leggere, raccogliere le firme avrebbe dovuto essere uno scherzo da ragazzi e d’altra parte i radicali tentano questa operazione da almeno 10 legislature… ogni volta con un approccio diverso, con una motivazione che oscilla senza batter ciglio tra due atteggiamenti… fuma perché questo ti fa sentire più libero e più padrone di te… ricorda che dalla cannabis possiamo estrarre molti farmaci per liberarti dal dolore… Chi mai potrebbe dire di no a due obiettivi così profondamente umani come la possibilità di sentirsi più libero e quella di soffrire di meno? Ma quest’anno la campagna marcia su binari diversi, non si rivolge al singolo, interpellandolo come potenziale utente di droghe: si rivolge al Paese, per mettere sotto i suoi occhi lo stato deplorevole in cui versano le carceri, il degrado umano che colpisce tutti carcerati, indistintamente, e i costi, ormai insostenibili del sistema carcerario.



Con il nuovo approccio sembra che anche la raccolta di firme per questo referendum abbia bisogno di un sostegno per decollare. E la scelta è caduta su di un cane… proprio così! A circa un mese dal termine fissato per la raccolta delle firme, i Radicali scelgono di lanciare la loro campagna sui social network con un cartone animato in cui un cane antidroga illustra i vantaggi economici e le implicazioni medico sociali a sostegno della legalizzazione delle droghe. Lui fa il suo mestiere: è chiaramente contro la droga, addestrato per questo, ma cerca di spiegare che qualcosa è ancora peggio della droga: ed è la cacca a chi si droga, con l’irragionevole decisione di volerlo per forza mettere in galera, dove ormai non c’è più spazio per nessuno. 

Attenzione, il Cartoon non si rivolge ai consumatori abituali di cartoni animati, come se volesse adescare i giovanissimi, per acquisire nuovi clienti. Al contrario il video intende parlare agli adulti e, non a caso, il titolo esatto dello spot è: “La legalizzazione illustrata agli adulti” di Flavio Avy Candeli e Giovanni di Modica. Anche se poi il nostro cane molto furbescamente spiega che non si tratta di vera e propria liberalizzazone, impossibile in Italia, ma solo di depenalizzazone.

Il cane-attore, simpatico e sicuro di sé, sembra disposto a dialogare con personaggi molto diversi, non parla del vissuto e delle emozioni che potrebbe provare chi fa uso di droga, fa piuttosto considerazioni di natura socio-economica concrete, e interagisce con Fini e Giovanardi, famosi autori delle legge: “Se lo stato legalizzasse la cannabis come i tabacchi, incasserebbe circa 8 miliardi in più, come due Imu sulla casa e riuscirebbe a sbloccare la giustizia e l’intasamento dei tribunali, risolvendo la questione del sovraffollamento, dal momento che un detenuto su tre è dentro per questioni legate alla droga“. “Il referendum infatti vuole eliminare quelle norme della legge Fini-Giovanardi che riempiono le carceri di consumatori di sostanze proibite” dicono i promotori.

In tempi di crisi propone di trasformare un costo in una risorsa, come accade con i tabacchi e forse oggi dovremmo aggiungere anche con il gioco d’azzardo. Perché no? La droga può rendere anche allo Stato. Ecco la provocazione assurda dello spot, la trappola micidiale che lancia in modo quasi spudorato, trincerandosi nel suo ruolo di cane, un cane antidroga che spiega come far rendere la droga e quindi in definitiva un cane che è tutt’altro che antidroga.

Genio di un Pannella, che dovrebbe essere contemporaneamente ministro della giustizia e del tesoro, capace di risolvere con un solo colpo i maggiori problemi che ci affliggono in questi giorni… Eppure è sempre il solito Pannella, affabulatore quanto basta, ma corruttore di costumi in mille modi diversi e soprattutto senza mai demordere. Capace, anno dopo anno, di riproporre sempre le stesse trappole micidiali. Pericoloso e insidioso nonostante la lunga coda di cavallo bianco che non riesce a conferirgli in nessun momento l’aria innocente del vecchio saggio.

Quello dello spot sembra un consiglio da cani, ma questo è un cane antidroga che la sa lunga, per cui insiste nello spiegare ad Harry Potter che non si tratta di una legalizzazione vera e propria, che in Italia non sarebbe praticabile, per via delle convenzioni internazionali stipulate dall’Italia. Ma a Kate Moss cerca di far intravedere il vero obiettivo del referendum: eliminare la pena detentiva per tutte le violazioni che riguardano fatti di lieve entità, come la coltivazione domestica, il possesso di quantità medie, che stanno tra il consumo e il piccolo spaccio. Resterebbe solo la multa, ma non ci sarebbe più il carcere per fatti di lieve entità, diminuirebbe la caccia al piccolo spacciatore, che non è affatto pericoloso o offensivo. E, dulcis in fundo, si potrebbe dare il via ad una riforma politica per un uso più corretto delle forze di polizia. Alla fin fine si risparmierebbero anche i due miliardi spesi per la repressione, che alla luce del costo che comporta, non risulta neppure così efficace. 

Lo spot unisce alla leggerezza delle immagini e al linguaggio immediato e diretto, in cui i vantaggi sembrano davvero innegabili, il capovolgimento di una posizione ideologica, che è stata fino ad ora sempre al centro del dibattito. Il consumo delle droghe – si diceva – deve essere lasciato alla libertà del singolo, che in cerca di emozioni e di affermazione della propria libertà, non deve rendere conto a nessuno delle sue scelte e delle loro conseguenze. Nemici delle droghe erano quindi coloro che in modo paternalistico cercavano di persuadere il soggetto a non drogarsi perché avrebbe danneggiato la sua salute.

Nello spot attuale non c’è nulla di tutto ciò. L’approccio è pragmatico: in Italia, ci dice il cane antidroga, coloro che si drogano sono ormai davvero tanti, tantissimi, troppi! Impossibile continuare a spedirli in prigione dove costano un sacco di soldi e occupano uno spazio che andrebbe riservato a ben altri colpevoli: ladri, assassini, violenti e corrotti. Il problema è semplice, se non possiamo legalizzare la droga, almeno depenalizziamone l’uso! L’argomentazione sul piano dialettico potrebbe fare presa su di un vasto pubblico che guardasse solo ad un aspetto del problema, quello droga-carcere, e poiché come è noto le carceri stanno scoppiando e la situazione delle carceri è insostenibile, allora evitiamo di mandare in carcere chi si droga… Smettiamo di utilizzare un sistema repressivo costoso ed inutile… D’altra parte sono anni che i radicali fanno la loro battaglie per le carceri e forse ora ne afferriamo meglio il senso, si tratta di una sorta di combinato disposto tra depenalizzazione dell’uso delle droghe e automatico svuotamento delle carceri.

Ma il problema non è solo questo! Questo è l’aspetto che riguarda la pubblica sicurezza e lo stato delle carceri. Non c’è solo il rapporto droga-carcere; c’è anche il rapporto droga-salute, droga-formazione, ecc… c’è anche la necessità da parte dello Stato di prevenire la diffusione dell’uso di droghe, che sono tutt’altro che innocue e nuocciono davvero alla salute, creando dipendenza e mantenendo attivo un circuito di criminalità secondaria, più o meno grave. Per procurarsi la droga il consumatore abituale, soprattutto in tempi di crisi, ruba e spaccia, aggredisce e partecipa ad iniziative di criminalità organizzata. E per questo spesso va in carcere, perché viene arrestato in flagranza di reato.

Per la giustizia Pannella ha coinvolto Berlusconi, il vero testimonial di questa campagna referendaria, capace di monopolizzare l’opinione pubblica e di stanarla da una sorta di comoda pigrizia estiva. Fautori e detrattori del mitico presidente, riconoscono comunque in lui il protagonista di un sistema, che ne ha fatto la vittima di una riforma mai compiuta. A questo punto l’asse Pannella-Berlusconi, scarsamente credibile se preso a parti separate, vuole capovolgere la situazione, facendo balenare la speranza di una giustizia più giusta. 

Tra Berlusconi e il cane antidroga è facile immaginare che sarà quest’ultimo a trainare la raccolta firme che deve raggiungere quota 500mila. Ma poiché i consumatori abituali di hashish e marijuana in Italia sono 3 milioni, la missione non sembra impossibile. Ma una volta lanciato il referendum bisogna anche vincerlo e per allora nel Paese famiglie, medici, psicologi ed insegnanti hanno già cominciato ad organizzarsi, per spiegare ancora una volta perché drogarsi fa male, e non basta non andare in carcere per cancellarne i danni… e per le carceri possiamo trovare un altro tipo di soluzione.

Per ora questo referendum non lo sottoscriviamo e intanto pensiamo ad uno spot che sappia essere diretto ed eloquente, chiaro e convincente, ma senza barare né sulle premesse né sulle conseguenze.