Della giornata sarda del Papa si dirà molto. Mai abbastanza. Ogni suo passo sull’isola ha lasciato traccia. Nella terra e nei cuori. Ma c’è qualcosa che è sfuggito alle maglie strette delle dirette televisive, all’ossessività dei teleobiettivi, alle registrazioni infinite di professionisti della notizia e reporter da telefonini. Uno di quegli episodi banali e rivelatori che illuminano le parole pesanti, il grido di compassione, le lacrime per la sofferenza condivisa e trasfigurata. Nel tragitto dalla Facoltà Teologica Regionale al largo Carlo Felice, dove lo aspettavano 50mila giovani, poco dopo le cinque, a bordo della  giardinetta schermata solo da un velo trasparente, il Papa ha fatto stoppare il corteo nei pressi dell’incrocio tra viale del Buoncammino e via Luigi Giussani. 



Un trivio da cui parte la panoramica più bella su Cagliari e il suo mare, il viale intitolato al prete brianzolo e una strada sassosa che porta su, all’imponente carcere. Mons. Miglio, arcivescovo della città, che gli stava affianco gli aveva detto che i detenuti erano lì ad aspettare il suo passaggio. E infatti, tutti quelli che non avevano potuto ususfruire dell’articolo 21, quelli che dalla galera non potranno uscire per un bel po’, che avevano invidiato i compagni a cui era stato concesso di dividere lo spazio della Cattedrale con Papa Francesco, toccare le sue mani, incrociare i suoi occhi buoni, ebbene tutti quelli che erano rimasti “dentro” e paradossalmente “fuori” dall’evento, si erano aggrappati alle sbarre, affamati di aria e di Bergoglio, urlanti come bestie in gabbia, decisi ad imporre la loro presenza residuale. 



E Francesco si è fermato e li ha guardati. Ha bloccato la sua fuga per i vicoli, nella corsa delle 12 ore sarde, per farli sentire uomini ed amati. Li ha guardati e si è sbracciato. Perché l’umanità di un uomo si misura dall’amore e dai particolari. E in quel gesto c’è tutto il Papa argentino e la sua convinzione che nessuno può essere escluso dall’amore. Che tutti hanno diritto ad essere guardati. Come il Signore guarda Matteo nel quadro di Caravaggio tanto amato da Bergoglio. Così quegli uomini senza libertà, con le teste segnate dalle grate, e le mani protese verso il cielo, quegli esseri che si erano affidati a stracci di biancheria colorata per richiamare attenzione, che urlavano in dialetto saluti dispersi dalla distanza, hanno avuto il loro personalissimo incontro con la Speranza. E’ bastato uno sguardo. Non basta sempre?

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