Nella mia memoria d’infanzia l’orco cattivo adora le sue bambine, prima di scannare Pollicino e i suoi fratelli; se non erro nell’indimenticato La vita è bella il gerarca nazista adora la musica e si diletta per gli indovinelli. L’aggressore quaedista che ha massacrato decine di persone innocenti, nel Westgate di Nairobi, si è commosso davanti ai rimproveri di un bambino, gli ha regalato una tavoletta di cioccolata, l’ha lasciato andare, con sua mamma e sua sorella. 



Anche nell’anima più nera si nasconde un fondo di umanità? No, o meglio, non è questo il caso.  Anche l’uomo più crudele può soffrire di un cedimento emotivo. Soffrire, come un accidente, una debolezza da nascondere. Anche il più efferato dei criminali ha accarezzato la testa dei suoi figli, guardato un tramonto, asciugato una lacrima. Se non si tratta di scissione della personalità, quindi di inguaribile patologia psichica, si può credere di essere buoni. Ci si convince di essere giusti, e di agire per un bene superiore, o per un ordine da eseguire (così si sono giustificati i macellai dei campi di sterminio), per un’ideologia. 



Ignobile farsa. Il male che faccio non è il mio male, credono. Come a scagionare la mia libertà, e la volontà che ne è mossa. Non facciamoci abbindolare, non subiamo questo oltraggio all’intelligenza, come capita alle vittime inermi che diventano succubi dei carcerieri. Il piccolo Eliott Prior, che ha affrontato a viso aperto il terrorista somalo, ha colto subito e detto la verità, quella che non si può tacere, neppure di fronte alla paura. Tra il fuoco delle raffiche di mitra, le urla, i tam tam dei tanti cuori che tumultuavano di angoscia, ha fermato il tempo, costretto il carnefice a pensare. Ha detto: “Tu se un uomo molto cattivo”. E il carnefice per un attimo, un attimo soltanto, ha distolto lo sguardo dai cadaveri che lo circondavano, ha pensato a se stesso bambino, forse ha avuto paura di essere perduto per sempre. 



Di non essere un eroe o un fedele servitore del Profeta, ma un ignobile assassino, degno di morte eterna. Una barretta di cioccolato, il prezzo del silenzio, per allontanare quel bambino e la sua verità, via, lontano da sé, dai suoi insorgenti ricordi di innocenza, dal cumulo già pesante di rimorsi.  Quello resta un uomo cattivo. Se scamperà alla morte “santa”, se avrà la fortuna di scontare una pena durissima, e capire la sua follia, dovrà ringraziare il piccolo Elliott. Se ha già perso la vita traforato di pallottole nel blitz liberatorio delle forze dell’ordine, forse grazie ad Elliott non avrà perso l’anima. 

Non sta a noi sapere, e decidere il destino ultimo, di nessuno. Ma la ragione ci impone di non credere ai delinquenti mascherati da liberatori, alle belve che gridano libertà e giustizia mentre spargono morte. Ancor peggio se dichiarano di appartenere a una fede, e di combattere in sui nome. Non c’è fede religiosa che non sia anzitutto fede nell’uomo, che non si inchini davanti ad ogni più umile vita. Non c’è Dio che voglia sacrifici umani, non più. Non si può esitare un attimo, anche quando certe ragioni ci solleticano, quando ci parrebbe di giustificare, almeno in parte, di comprendere. Succede a Nairobi, è successo a New York, a Londra, a Madrid, succede in Israele  quasi ogni giorno.

Sono uomini cattivi,  e basta. Ma ce ne sono anche da noi: quelli che picchiano i poliziotti, o i loro compagni di scuola o di università, che spiegano la violenza “in nome di”, non importa cosa. O quelli che maltrattano la moglie, i figli, e sembrano persone tanto per bene. Ha ragione il piccolo Elliott: sono uomini cattivi. Dire la verità salva la vita, a volte. Salva almeno la nostra dignità, e fa un po’ di chiarezza nella confusione del mondo, dove ogni desiderio, per turpe che sia, diventa un diritto, e difenderlo un atto nobile e necessario. 

Meglio i cattivi veri, quelli che digrignano i denti, meglio l’orco feroce, gli Huruk kai del buon Tolkien, che non nascondono il male che li divora. Chi sta dalla loro parte capisce subito a che razza appartiene, non ci sono equivoci. Tocca avere la purezza e il coraggio di un bambino per riconoscerli, quando si mascherano il volto, e svelarne l’inganno.