NEW YORK – Un bimbo ucciso da un colpo di pistola. Su un passeggino. Un bimbo piccolo piccolo, uno delle decine di migliaia che nascono, crescono e vivono a Brooklyn, il più popoloso “Borough” di New York City. In un posto come Brooklyn, con quasi quattro milioni di esseri umani e un paio di centinaia di gruppi etnici, chi si accorge che muore un bambino? No, non succede spesso, grazie a Dio. A New York non ci si uccide più come negli anni 70 e 80. New York è diventata una delle città più sicure del mondo. Giuliani cominciò l’opera di bonifica, Bloomberg l’ha portata avanti. Nel novembre dello scorso anno la Grande Mela ha registrato un’impeccabile “giornata senza crimini violenti” – cosa impensabile se si considerano non solo le sue dimensioni ma anche il continuo andirivieni di gente.
Eppure a Brownsville, Brooklyn, un proiettile vagante si porta via la vita di un bimbo di un anno. Qualcuno se ne accorge, altri no. Ma non è una questione di indifferenza. È questione di non saperlo. È qualcosa che è accaduto in un altro mondo. Se ti cade l’occhio sul titolo di qualche giornale locale, se le news che scorrono alla radio o alla TV in qualche modo ti raggiungono …sennò niente. Sennò un bimbo è ucciso a Brownsville, Brooklyn, New York City, ma tu, che vivi a Brooklyn, New York City, non lo sai. E non lo sai perché Brownsville è un remoto quartiere perso in direzione di East New York.
E East New York è un ghetto. Una di quelle – ormai veramente poche – aree di NYC dove l’implacabile processo di “gentrification” non è ancora avvenuto. Come è successo a Williamsburg, Red Hook, Long Island City, così prima o poi succederà a East New York. Prima o poi qualche “developer” deciderà di cominciare a comprare tutto, per ricostruire, ristrutturare, rilanciare, rendendo impossibile la vita a quelli che ci abitano, e trasformando il ghetto in zona residenziale, centro commerciale, complesso sportivo…
Ma intanto, ma intanto Brownsville resta un remoto quartiere perso in direzione di East New York. E East New York è un ghetto. E quel che succede nel ghetto resta nel ghetto, lo conoscono, lo capiscono e lo patiscono solo quelli che vivono lì. Gli altri, al più, può darsi che lo vengano a sapere. Ma resta un mondo lontano, resta un accadimento di un mondo lontano.
No, non è questione di abitudine, indifferenza, diversità di razza. È una “lontananza”, una lontananza strana: ci fa commuovere per le piccole vittime dei gas siriani, rendendoceli presenti negli occhi e nel cuore e ci fa giungere il grido di dolore per una tragedia avvenuta a pochi chilometri da qua come un’eco remota. Curioso, no? Chi è il mio “prossimo”? “Il prossimo”, ovvero, “il vicino”. È più facile sentire la prossimità dei bambini siriani che quella del piccolo di Brownsville. Certamente perché se ne parla di meno, ma anche perché Brownsville è così vicina che a pensarci bene potrebbe aver a che fare davvero con la mia vita.