Le faccette buffe e grassocce dei figli vengono postate su Facebook entro un’ora dalla nascita: così emerge da un’analisi dei dati che rivela che in meno di un’ora (57,9 minuti in media) il neonato finisce immortalato su un social network e nel 77% dei casi questo è Facebook. A questo punto, qualcuno alza la mano e obietta che questo è un eccesso, quasi ridicolo, ma l’obiezione non va oltre il fatto che mettere una faccetta e due occhioni appena usciti dal pancione a disposizione di tutti ne infrange la privacy… ma non è questo il problema!
Prima considerazione: tra una settimana la faccia del neonato non sarà più riconoscibile, quindi il fatto di aver messo in rete le fattezze oggi non significa un insulto alla privacy perché il soggetto per ovvi motivi tra poco non sarà più lo stesso, non sarà più identificabile. Ci sembra semmai che metta più in crisi la sua privacy il fatto di trovarsi alla nascita col Dna già letto, analizzato e approvato, dato che una buona fetta di chi nasce ha passato l’esame prenatale di amniocentesi o villocentesi (se non lo passa, spesso finisce che il bebé viene abortito e se lo passa nasce col segreto del Dna svelato); oltretutto oggi abbiamo dei kit che non solo svelano le malattie ma ogni tratto genetico, ogni recondito anfratto del Dna… e ci preoccupiamo che alla nascita uno abbia il nasino messo su Facebook e non che alla nascita i suoi genitori (e lui stesso un domani) sapranno cose che lui o lei mai avrebbe richiesto di sapere perché saperlo non era nel suo interesse?
Seconda considerazione: sui massmedia e sui social network ci vanno a finire tutti o solo quelli carini? Non è una domanda futile (anche se ne sappiamo la risposta) perché se ci finiscono solo i carini, come in realtà succede, lo spaccato di società che ne emerge è per forza falsato perché da quello che si vede si capisce che tutti sono belli, oppure che alcuni sono belli e altri brutti ma sui massmedia c’è spazio solo per i primi. Per quanto riguarda i massmedia tradizionali, è evidente che chi non è conforme non ci finisce in vista e questo non riguarda solo i disabili: avete mai visto un presentatore tv chiaramente obeso o con qualche anomalia fisica? Recentemente le famiglie inglesi sono insorte per chiedere l’allontanamento dalla tv di una giornalista senza un braccio! Per i media tipo Facebook invece si tratta di un’autocensura, perché mostrare che il figlio ha qualcosa che lo distacca dalla norma, non solo significa (erroneamente!) un insuccesso, ma è anche il preambolo all’emarginazione.
Insomma, la smania di esibire il faccino della figlia, non è solo un segno di gioia, ma dà il messaggio: “siamo normali”, “siamo integrati”. La dittatura della norma vince ancora, la cultura dello scarto, secondo cui chi non è conforme va scartato se non fisicamente almeno socialmente, vince. Insomma, i massmedia sembrano dare un ritratto della società solo dal punto di vista di chi è bello… e questo non è assolutamente educativo.
Detto questo, mettete pure le faccette buffe dei figli su Facebook: amici, nonni e anche i figli stessi ve ne saranno grati. Ma auspichiamo che l’attenzione alla privacy vada dove davvero deve andare, cioè a cose più serie: una faccina è segno di gioia, mentre l’esame prenatale è segno di ansia; la faccina cambia e si scorda, il Dna svelato e decifrato resta. Auspichiamo anche che la “dittatura della norma” venga soppiantata dal riconoscere che chiunque (bello, brutto, grasso, disabile, veloce o lento) è una risorsa per tutti. Perché la follia inizia quando si distingue in categorie, razze, caste il genere umano… anche solo sulla base di chi ha un faccino mostrabile e chi non lo ha.