Qual è il ruolo della Chiesa cattolica, un grande soggetto planetario, nell’era della globalizzazione? A poche settimane dal raduno dei giovani a Rio, il “papa venuto dall’altra parte del mondo” nel prendere la parola sulle intricate questioni siriane segna, con forza, un punto preciso. A dieci anni dalla dura presa di posizione di Wojtyla di fronte all’attacco americano in Iraq, la posizione di questi giorni di papa Francesco conferma una linea che non ha mai conosciuto tentennamenti.



Che il capo della cristianità prenda esplicitamente posizione di fronte a un’ipotesi che vede coinvolta la più grande potenza occidentale non è cosa di poco conto. Tanto più che la Siria è un paese musulmano. Il messaggio del Papa è chiarissimo: le grandi religioni sono soggetti fondamentali nel quadro dei rapporti internazionali contemporanei. Nessuna pace sarà possibile nel mondo globalizzato senza il contributo attivo delle chiese nel costruire la condizioni di una convivenza pacifica.



Nel riconoscimento dell’autonomia della politica, il papato intende svolgere fino in fondo il ruolo che, nella situazione storica in cui viviamo, gli compete: quello di un potere spirituale che ha l’autorità morale di parlare al mondo intero. Un potere che, in quanto spirituale, non si appiattisce su valutazioni di tipo politico, ma parla alle coscienze di tutti, cristiani e musulmani: con il suo intervento, Francesco dice che è nel pieno recupero dell’autonomia della religione dalla politica che sta una delle chiavi del nostro futuro. Una autonomia che è poi anche alla base della richiesta, tante volte avanzata dal Vaticano, di una vera libertà religiosa in tutto il mondo.



Per fare questo, il Papa ha avuto l’ardire di lanciare un’iniziativa fortemente innovativa: un giorno di preghiera e di digiuno. Un gesto simbolico, disarmato, ma potente per chiedere all’opinione pubblica cristiana non di lavarsi le mani in nome di un generico pacifismo, ma di sentirsi coinvolta in una vicenda che la nostra coscienza assuefatta e indifferente tende a tenere lontana. È troppo immaginare che un’iniziativa analoga possa essere presa anche sulla sponda islamica, creando così uno spazio davvero nuovo per il dialogo tra le grandi religioni?

Su un piano diverso, l’intervento del papa richiama il ruolo imprescindibile della ragione, tema su cui ormai da tempo la Chiesa cattolica insiste. La guerra è sempre il riconoscimento del fallimento della ragione, del dialogo, del negoziato. E invece la Chiesa insiste testardamente nel difendere il ruolo della ragione per la soluzione delle questioni umane. Compresi i temi della pace e della guerra.

Rispetto alla Siria e all’ipotesi di un attacco, noi sappiamo con certezza tre cose. La prima è che Assad ha commesso atrocità che non possono essere tollerate da un mondo che si fa sempre più piccolo. Nessuno puó pensare, all’inizio del XXI secolo, di fare quel che vuole contro altri essere umani. La questione ci riguarda tutti, nessuno escluso.

La seconda è che sono più di trent’anni, dall’inizio cioè della rivoluzione iraniana, che il mondo musulmano è in subbuglio. Come dimostra l’evoluzione in atto nell’intero Nord Africa, tali convulsioni sono ben lontane dall’aver raggiunto un qualche punto di equilibrio. Anzi, la sensazione è che la frattura dentro lo stesso mondo arabo si stia approfondendo, tra coloro che sostengono un’evoluzione verso un percorso di modernizzazione e i gruppi che sfruttano il malcontento delle masse per propugnare progetti politici di restaurazione di un ordine religioso associato a una nuova potenza politica. Il travaglio del mondo musulmano è importate per la pace nel mondo e occorre fare di tutto perché le posizioni dialoganti riescano ad avere la meglio su quelle fondamentaliste. Su queste basi, un intervento armato appare un azzardo troppo grande: in un quadro di grande instabilità, un’azione di questo tipo potrebbe essere l’innesco di una reazione a catena, destinata facilmente a sfuggire di mano.

La terza è che gli interventi esterni non sono risolutivi se non trovano all’interno una base sociale sufficientemente forte su cui potere appoggiare un’azione di pacificazione e ricostruzione. Che è come dire che la libertà e la democrazia hanno bisogno di basi sociali e morali senza le quali diventa impossibile raggiungere qualsiasi risultato positivo. Il fallimento di precedenti interventi si spiega proprio per l’assenza di questo presupposto. Un’assenza che, anche in questo caso, impedisce l’approdo a una soluzione sensata.

Se, come scriveva Eschilo, “la prima vittima della guerra è la verità”, occorre dire, con la ragione prima che con il Papa, che un intervento armato appare, in questo momento, un strumento inefficace per raggiungere lo scopo desiderato.