Secondo i magistrati della terza sezione penale della Corte d’appello di Palermo, Marcello Dell’Utri fu il “mediatore contrattuale” del patto tra la mafia e Silvio Berlusconi. L’ex senatore, tra il 1974 e il 1992, “non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti” e “ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento”. E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza su Dell’Utri che sono state pubblicate ieri. Per Salvatore Sechi, storico, già componente di varie commissioni parlamentari di inchiesta, “la sentenza parla di versamenti in denaro effettuati sia da Berlusconi alla mafia sia dalla mafia a Berlusconi. E’ fondamentale mettere in connessione questi due elementi, per capire se la mafia abbia stabilito un rapporto con Berlusconi e di che tipo di rapporto si sia trattato”.



Professor Sechi, che cosa ne pensa delle motivazioni della sentenza su Dell’Utri?

Innanzitutto occorre attendere di leggere il testo integrale con le motivazioni e gli allegati, in quanto i giornali ne riportano soltanto degli stralci. La sentenza riporta una continuità di versamenti che Berlusconi avrebbe fatto alla mafia per ragioni legate alla sua protezione. Insieme a questi versamenti che Berlusconi ha fatto alla mafia, ce ne sono altri, che la mafia ha fatto negli anni 90 alle aziende di Berlusconi, di cui sappiamo poco o niente. E’ fondamentale mettere in connessione questi due elementi, per capire se la mafia abbia stabilito un rapporto con Berlusconi e di che tipo di rapporto si sia trattato.



Ci sono dei misteri per quanto riguarda questi rapporti?

Dell’Utri e Berlusconi non hanno mai spiegato il ruolo di Tullio Mangano, che non era un portiere ma un boss di Cosa nostra, nonché un uomo chiave nel riciclaggio del narcotraffico su Milano. Non è stato chiarito perché quest’uomo abbia soggiornato a lungo in casa di Berlusconi ad Arcore e quali siano stati i rapporti tra lui e Dell’Utri. Esiste un teorema secondo il quale la mafia avrebbe contribuito e addirittura pianificato la fondazione di Forza Italia. Tutti coloro che fanno dell’anti-berlusconismo una sorta di teorema esplicativo degli ultimi 20 anni, insistono su questo teorema.



Perché lo definisce un “teorema”?

I giudici si devono rassegnare al fatto che la fondazione di Forza Italia, e quindi la rivoluzione liberale, è stata una vastissima domanda di cambiamento che era presente nell’opinione pubblica e in parti del mondo politico e del ceto finanziario, tanto al Nord quando al Sud. Personalmente ritengo che questa rivoluzione liberale sia clamorosamente fallita, e lo dimostra il fatto che 20 anni dopo la proposta di riforma della giustizia fatta da Berlusconi siamo alle solite. Questa riforma della giustizia non è stata attuata e non esiste responsabilità civile dei magistrati, i quali essendo un ordine agiscono come un potere. Questo è l’elemento su cui noi dobbiamo insistere.

 

E quindi?

Se i giudici ritengono che la mafia abbia avuto un ruolo e un peso nella fondazione e nello sviluppo di Forza Italia, o ci sono prove dei finanziamenti di cui parlavo all’inizio, oppure questa è semplicemente un’estrapolazione tipica dell’anti-berlusconismo. Il ruolo e il successo di Berlusconi va esaminato realisticamente attraverso una domanda politica e sociale dell’opinione pubblica. Se invece si vogliono creare trame occulte come spesso si è fatto, allora questo è un altro discorso.

 

Insomma bisogna attendere le prove…

E’ cruciale spiegare la natura dei finanziamenti della mafia verso Berlusconi e di Berlusconi verso la mafia: se questi dati sono certi e veri, si pone evidentemente un problema. Ma anche se fossero veri, i successi di Berlusconi resterebbero di natura elettorale attraverso la conquista ripetuta del consenso nell’urna in molte occasioni. E’ questo ciò che i giudici non possono risolvere, ma che non possono neppure omettere servendosene genericamente. Qui ci vuole la potenza delle prove. 

 

(Pietro Vernizzi)