Cosa vuol dire “essere per la pace”?

In una giornata di digiuno per la pace non contano solo i gesti che si compiono. Ho assistito attraverso la tv alla lunghissima veglia presieduta dal Papa in San Pietro e l’impressione che questi grandi riti, pur belli, abbiano smarrito parte della loro forza educativa – ossia non sappiano più comunicare in modo adeguato i loro contenuti – è stata forte e me ne dispiace.



Tuttavia proprio due momenti quella veglia mi hanno dato modo di riflettere sul cuore del problema. 

C’è stato il breve discorso di Papa Francesco, che nella prima parte ha posto l’accento decisivo: commentando il Genesi, quando Dio osserva la sua Creazione e vede che è buona, si è chiesto, e ha chiesto a tutto il mondo, se quelle parole non hanno una corrispondenza precisa, inequivocabile, con ciò che il nostro cuore desidera. 



Alla radice di tutto c’è, dunque, questa corrispondenza. L’egoismo, la sete di potere o di gloria, l’avidità sono male perché si oppongono al desiderio naturale, infondono nell’uomo sentimenti e pensieri artificiosi, l’uomo insomma rinnega sé stesso, e la violenza ne è la conseguenza. Fino alla guerra e allo sterminio. 

L’altro momento è stato la prima, lunga pausa di silenzio, che ha sorpreso molti. Per almeno un quarto d’ora niente canti, niente letture, arpe, violini. D’un tratto, è parso che la gente si sia chiesta (forse perché se lo chiedeva il sottoscritto): e adesso?, cosa faccio?



Non si trattava più di recitare preghiere, ascoltare letture, partecipare al canto, dedicando a queste cose tutta la propria sincera devozione. Si trattava, adesso, di stare di fronte a Qualcuno.

Un grande letterato francese, dichiaratamente ateo, morto una trentina d’anni fa, racconta nel suo diario l’impressione di spaesamento che gli procurò la prima visita alla tomba dell’adorata madre, morta da poco. Giunto lì davanti, non sa più cosa fare. Non ha discorsi, non ha pensieri, non ha teorie: di fronte alla morte la sua mente tace, e lui capisce di dover accettare questo silenzio. 

Tornando al silenzio di ieri sera, la domanda posta a noi tutti mi è sembrata la stessa di quel letterato: a chi sto di fronte? Chi c’è davanti a me? Come faccio a riconoscere che davanti a me ci sei Tu? 

La pace ha a che fare con questa questione radicale. È necessario accettare ogni differenza – culturale, razziale, religiosa, ok, ma senza dimenticare che la prima differenza, radice di tutte le altre, è Dio stesso. Senza Dio, ossia senza quella diversità radicale (che anche un letterato ateo sa riconoscere, se è leale con sé stesso) in fondo in fondo esistiamo solo noi, con le nostre persuasioni e i nostri discorsi, la nostra filosofia. La violenza nasce da qui.

La pace ha a che fare con questa questione radicale. È necessario accettare ogni differenza − culturale, razziale, religiosa, ok, ma senza dimenticare che la prima differenza, radice di tutte le altre, è Dio stesso. Senza Dio, ossia senza quella diversità radicale (che anche un letterato ateo sa riconoscere, se è leale con sé stesso) in fondo in fondo esistiamo solo noi, con le nostre persuasioni e i nostri discorsi, la nostra filosofia. La violenza nasce da qui.

La mamma di un mio caro amico, una signora molto anziana di grande fede, poco prima di morire pose al figlio questa domanda: “E adesso cosa dirò al Signore?”

Questa donna dopo una vita durissima, con pochissimo tempo per i ragionamenti, aveva ben chiaro che si sarebbe trattato di un incontro, un incontro vero, dall’esito imprevedibile e non gestibile. 

Ma se sarà così quel giorno, è probabile che sia vero fin d’ora.