Premetto. Mi piace moltissimo Vasco Rossi, la sua voce roca e strascinata, anche quando le parole dicono poco, fa vibrare dentro, tira fuori rabbia e struggente desiderio di essere protagonisti. E mi piace Marco Pannella, pur se non condivido la maggior parte delle sue idee. Ma ha coraggio da vendere, e caparbia volontà di lottare, di non cedere, nonostante l’età, nonostante i bavagli. Senza di lui la piatta politica italiana avrebbe perso in passione e vitalità, e saltato tante battaglie scomode, e penso solo a quella sulle carceri, che vede il vecchio leone ruggire da solo, tra il bla bla inerte dei più.
Il problema dei Vasco e dei Pannella è che combattono il limite e l’impotenza di cui si rendono ben conto, come tutti, con la pretesa di farseli loro, il mondo, se stessi, la vita, la realtà. Per questo sono dei perdenti, anche quando vincono. Perché le loro battaglie sono un grido disperato di sconfitta.
Mi viene in mente il Capaneo dantesco che si erge tra i lapilli infernali e grida la sua bestemmia al Dio che non è riuscito ad amare, affermandolo tuttavia con una potenza irripetibile. La scelta della libertà può tradire: non ogni mio volere è un diritto, non tutti i diritti sono giusti e possibili. Uccidere non è un diritto. Manco se si tratta di bambini piccoli piccoli.
Ed è una menzogna, per affermare un supposto diritto alla scelta, dire che non sono bambini, non sono vite. Si piega l’essere alla nostra misura, in senso letterale, alla misura del nostro soddisfacimento. Si può scegliere di amare da uomo un uomo, o da donna una donna. Ma non posso mutare la realtà, e dire che le coppie così formate sono famiglie. Il diritto naturale viene prima, e posso chiedere tutte le tutele giustissime per queste coppie di fatto, che potrebbero essere di zia e nipote, di due cugini, di due semplici amici che vogliono condividere la vita. Ma non posso pretendere di equipararle a un uomo e una donna che si uniscono e hanno dei figli. Le cose non funzionano come e perché lo voglio.
Vasco Rossi è tornato al suo vecchio amore e ora che ha messo su capelli grigi e pancetta si è reiscritto al Partito Radicale. Pannella è il suo alter ego politico, ha precisato, e non dubitiamo che ad entrambi l’ego non manchi. Sarebbe anche un bene, perché la coscienza di sé e di quel che si può fare nel mondo è già antidoto alla depressione e alla lamentela che dominano la nostra cultura.
Solo che Vasco ha regalato una delle sue più celebri canzoni, Vivere, per confezionare uno spot a favore della legalizzazione dell’eutanasia. C’è un vecchietto allettato, un sondino nel naso, con gli occhi semichiusi; la sua donna, presumibilmente, guarda malinconica alla finestra, il cane si stiracchia, le foto sul comodino parlano di un uomo che un tempo fu atletico, vigoroso, amante ed amato. Le parole della canzone del Blasco escono da una vecchia radio, malinconicamente scorrono: “Vivere… oggi non ho tempo, oggi voglio stare spento…”. L’ammalato sembra rianimarsi, apre gli occhi umidi, avvicina la mano alla radio, la spegne. Clic. Così si può spegnere una vita, è sottinteso. Una vita così non è degna, meglio lasciarla andare.
Questione di opinioni? Con dolore, sì, di opinioni sbagliate, che non vogliamo trasformare in leggi, e di una distorta concezione di sé. Perché nessun uomo vale per quel che è o fa, o con buona pace di Pannella, tutte le sue lotte per i “diversi” sarebbero da mandare al macero: disabili, stranieri diseredati, carcerati di cui han buttato la chiave. A che valgono queste vite? Finiamola, finiamole. C’è una sola differenza nella lettera finale a segnare un passaggio di responsabilità e soggetto d’azione. Quando la capacità di decidere per sé è labile, stanca, può arrivare qualcun altro a decidere al posto tuo. A stabilire quando e perché la tua vita non è più degna.
Un’opinione pericolosissima, dunque, se si parla di leggi. Non a caso per lo stato il suicidio è un delitto. Chi te lo può impedire? Nessuno. Ma è un delitto a prescindere, un delitto in sé, perché si sappia che chiunque lo induca, o aiuti, è complice di omicidio. Anche se si ammanta il reato con ragioni umanitarie, che troppe volte coprono ragioni di comodo. Nei paesi dove l’eutanasia è legge, ad esempio, si parla liberamente di poderosi risparmi per la Sanità, ed è una delle motivazioni per chiedere che la dolce morta sia estesa anche ai bambini terminali, troppo pesanti e costosi da assistere.
Ma ammettiamo che io sia sincero, e che autonomamente decida di spegnere quella radio, di staccare il suono di quella canzone. Che non ci sia bene o amore capace di abbracciarmi e farmi sentire importante e unico. Ammettiamo che non ci sia Dio, secondo me, pronto ad accogliermi, quando sarà. Resta la possibilità, così umana, così dignitosa e forte, di non tirarsi indietro, di accettare la sfida. Resta il tenente Drogo, l’attesa dei Tartari fino alla fine, per scoprire che sarà mai, questa morte che è parte della vita segnata. Restano le altre parole della canzone di Vasco, che dicono altra tempra e altra scelta: “sperare… senza perdersi d’animo mai… e combattere e lottare contro tutto…”.
Non è facile, tutt’altro, e non si può “vivere” da soli. Ma è da eroi, e lascia un segno: il segno della nostra vita, e un segno per la vita di altri.