Caro direttore,

Mi permetto di ritornare un attimo sulla vicenda della suora del Salvador che la scorsa settimana a Rieti, tra il clamore dei media e la rozza ironia della Rete, ha partorito un bambino nell’ospedale cittadino. Lo faccio per un particolare – riportato dal Corriere della Sera – tutt’altro che secondario: le suore dell’Istituto cui questa donna appartiene si sarebbero infatti rifiutate di andarle a far visita perché – cito – “con quello che ha fatto non pare il caso”. Io non so quanto di vero ci sia in questa ricostruzione giornalistica, ma una risposta del genere mette in luce, una volta per tutte, quale sia la malattia profonda del nostro mondo occidentale: il fatto che tutti, ad un certo punto, ci sentiamo autorizzati e giustificati a smettere di amare.



Infatti, a parte l’ossimoro di suore che non si curano di una loro professa perché “peccatrice”, ci sono un sacco di esempi che costellano la nostra quotidianità e che ci dicono che il peccato – l’unico vero peccato – sia proprio questo smettere di amare.

C’è sempre una situazione o un’azione che ci porta a interrompere il bene: per noi stessi, per gli altri, per Dio. Il protestantesimo è nato proprio su questa “resa” rispetto alla natura umana: Lutero si guardò dentro e vide che c’era una parte di sé così mostruosa e “vecchia” che mai egli avrebbe potuto amare. Ognuno di noi, a volte, smette di amare l’ampiezza e la profondità del proprio cuore, rifugiandosi in qualunque surrogato di bene la vita offra. Nello stesso modo si smette di amare il marito, la moglie, i genitori o i figli, rottamando matrimoni o amicizie come fossero cioccolatini. Eppure tutti noi sbagliamo, tutti pecchiamo. Noi occidentali, però, abbiamo trasformato il peccato da occasione di misericordia a ragione valida per non amare più. Quante volte gli altri ci amano finché non pecchiamo. Quante volte noi amiamo gli altri finché sono “perfetti”.



Il cristianesimo è la notizia di un Dio che – dinnanzi al peccato di Adamo – non ha smesso di amare, ma si è fatto Adamo per abbracciare un uomo che, già in quel giardino, aveva deciso che – pur di avere un certo frutto – andava bene anche smettere di amare Dio. A differenza di Cristo noi siamo soliti smettere di amare chi smette di amarsi, i peccatori. Così facendo creiamo delle “solitudini affettive” che l’uomo pretende poi di colmare da sé, col compiacimento del potere e l’approvazione dei media.

Per questo il Papa ci sta dicendo che l’unico errore che può fare un cristiano è proprio quello di “smettere di amare” sé e l’altro in nome di un’idea, di una dottrina, di un errore. È in questo modo che, in effetti, facciamo spazio al potere, al piacere e al ricatto del “far di tutto pur di possedere”. Nessuno, però, è giustificato quando smette di amare, anche se – certamente – l’amore non si può né imporre né pretendere: l’amore è generato sempre da un’esperienza di amore.



Se noi non sperimentiamo nella nostra vita l’amore di Dio, ma solo il Suo giudizio, ovviamente il giudizio sarà anche il metro con cui misureremo la vita degli altri. Per questo il Papa non si mette l’elmetto e non attacca a testa bassa i peccatori, ma solo le “strutture di peccato” che si manifestano nel carrierismo, nello sfruttamento e nelle lobby di pressione internazionale: perché il mondo ha bisogno di perdono e di responsabilità, il mondo ha bisogno di ritrovare tutta la dignità dell’essere uomini, stigmatizzando quegli atteggiamenti e comportamenti che calpestano l’amore totale e definitivo, pretendendo di essere giustificati sempre e comunque. Il dolore, che l’altro può arrecarci col proprio male, non può mai essere fonte di alcun diritto, ma solo occasione per riaprire tutto il proprio cuore nella ricerca di Ciò che è fedele, ciò che non tradisce e non delude.

Questo è quello che auguro alle suore di Rieti e a tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, hanno deciso di interrompere il Bene. Nell’ora del dolore e della prova è un Altro Amore che dobbiamo cercare affinché il nostro cuore si apra e non smetta mai di abbracciare la vita in tutta la sua drammaticità. In ogni vuoto d’amore si fa strada la chiacchiera, la deresponsabilizzazione e la presunzione. L’Occidente non ripartirà mai da una protesta o da una decisione moralmente ordinata: l’unica speranza del nostro tempo è trovare un volto – una valida ragione – per cui valga la pena non cedere alla tentazione di andare oltre, alla tentazione – insomma – di allontanare i poveri e i peccatori dalla nostra presunta perfezione.

È per questo che siamo insieme, è per questo che c’è il Papa. Perché nessun uomo abbia mai un alibi valido e corretto per smettere di amare e di amarsi. Il peccato non è la fine del mondo, ma l’inizio di un Amore più grande. Quello che proviene dalla passione che Cristo mostra tutti i giorni per la mia vita.