Non è vero che la mafia non uccide i bambini: questa è la grande bugia che ci hanno fatto credere e in cui sono cascati quasi tutti. A dire così è il giornalista e scrittore Vincenzo Vasile, autore di un libro-confessione drammatico (Era il figlio di un pentito) in cui l’assassino del piccolo Di Matteo, Giuseppe Monticciolo, si racconta. Un caso, quello, che torna alla ribalta adesso che la criminalità organizzata ha avuto l’ardire di uccidere un bimbo di 3 anni, Nicola, sterminato insieme alla sua famiglia e dato alle fiamme. In molti in questi giorni si interrogano sul grado di ferocia su cui può giungere la mafia, arrivando a urlare vendetta per questo nuovo orrore. Vasile, in questa intervista con ilsussidiario.net, spiega che la mafia purtroppo arriva a qualunque livello di ferocia se è nel suo interesse ed è sbagliato pensare che casi come questi siano la trasgressione di un codice d’onore che, di fatto, non esiste.
Claudio Magris in un articolo sul Corriere della Sera chiede vendetta contro l’omicidio di Nicola, chiede che per il boia di questo bambino si spalanchi subito l’inferno. Parole dettate dall’emozione di un episodio sconvolgente? Impossibile perdonare?
Magris dà voce all’orrore di tutti, un orrore che davanti a fatti come questo ci accomuna. Personalmente però aggiungerei a queste parole un piccolo ragionamento.
Ci dica.
Io penso che si sia già dato un perdono da parte di certi commentatori, come ho sentito in questi giorni in televisione e letto sui giornali, mettendo in circolo e ripetendo una bugia che davanti a episodi come l’uccisione di un bambino da parte della mafia viene puntualmente detta. Ma è un falso perdono.
Quale bugia?
Che la mafia rispetta tradizionalmente e non tocca i bambini oppure le donne.
Il famoso codice d’onore di Cosa nostra.
Un codice che in realtà non esiste. Bisogna infatti dire sulla base di dati di fatto storici che ci sono stati numerosissimi casi in cui perfino nella mafia siciliana, che è quella più portata a gestire la violenza, si sono uccisi bambini e donne.
Dunque il codice d’onore è solo una menzogna usata come stratagemma ideologico?
Un grande fotografo palermitano che lavorava al quotidiano L’Ora negli anni anni 50 e 60 mi regalò prima di morire un suo scatto, dove si vede una collinetta su cui c’è una specie di fagotto. Quel fagotto è il corpo di un ragazzino di 11 anni che nel 1953 venne ucciso dalla mafia e lasciato a monito della sua famiglia, che già era stata in parte sterminata dalla mafia palermitana.
La cosiddetta “mafia saggia”.
Mafia saggia? Il caso di Di Matteo di cui mi sono occupato era solo l’ultimo di una serie. Ad esempio, durante il maxiprocesso venne ucciso un bambino, figlio di un imprenditore che si occupava delle pulizie all’Ucciardone, che forse aveva visto qualcosa, oppure il padre non aveva accettato di fare qualcosa che la mafia imponeva. Questo succedeva nel 1983. I casi sono numerosi quindi non è vero che la mafia non uccide i bambini, quando le serve uccide anche loro.
Cosa trasforma un essere umano, anche se criminale, in un mostro di tale efferata violenza da uccidere un bambino?
Nel caso di cui mi sono occupato io, vale a dire Giuseppe Monticciolo, lui mi ha sempre raccontato dato che ha dei figli, che ogni volta che li guarda negli occhi rivede il bambino che ha tenuto in prigionia per circa un anno e poi ucciso. Ogni giorno lui rivive quella tragedia.
Si può dire che queste persone siano le prime vittime di quella bugia?
E’ così. Per un mafioso il trauma è sicuramente enorme. Crolla quell’inesistente codice d’onore a cui lui credeva, quell’ideologia mafiosa che tiene insieme tutti. Brusca e gli altri dicevano che i bambini non si toccavano, ma mentivano, facendo così crollare quella solidarietà interna. Non sono stati pochi i mafiosi che dopo l’omicidio del piccolo Di Matteo si sono messi a collaborare con la giustizia, proprio per uno sconvolgimento psicologico dato da quell’orrore.
La mafia è una bestia feroce e basta?
Anche quelli che collaborano ripetono quella bugia ascoltata dai media, secondo cui si sarebbe violata quella regola che in realtà non c’è. La mafia, nelle sue varie organizzazioni e varianti, le regole se le costruisce a sua somiglianza, e di volta in volta, secondo le esigenze, in modo cinico e feroce più di quanto ne sappiano gli stessi mafiosi.
Nel suo articolo Magris dice anche che lo Stato, davanti a questa violenza, è battuto perché ovviamente non può replicare allo stesso modo. Può solo contenere la criminalità ma non sconfiggerla. Che ne pensa?
La penso in maniera un po’ diversa. Lo Stato alcune battaglie nei confronti dell’ala militare, quella mafia che più si espone in imprese violente ed efferate, qualche colpo l’ha dato. Le alte gerarchie della mafia degli anni passati sono state quasi tutte messe in carcere. Lo Stato comincia a perdere quando pensa di poter contenere il fenomeno instaurando una trattativa che solitamente si fa per raggiungere patti o compromessi.
Cioè?
Dal punto di vista storico è evidente che lo Stato in questi anni ha trattato attraverso suoi apparati, ma che quella trattativa è in perdita, perché quando vuole la mafia preme sull’acceleratore della ferocia invece che sul freno delle trattative.
(Paolo Vites)