Non era mai accaduto finora; nessuno aveva mai utilizzato quella parola nella storia della repubblica italiana. Non ci si era mai permesso di pronunciare quel termine, perché quel termine indica una funzione di repressione, di violenza, di annientamento violento. Solo ai dittatori o ai carnefici dei dittatori, o agli aguzzini dei dittatori era stato dato del “boia”. Ma, a pensarci, neanche Stalin o Mussolini erano mai stati chiamati “boia”. È per questo che la frase del deputato “grillino” non può che suscitare sgomento e vergogna. 



Sgomento, soprattutto, perché chi come me ha seguito la conferenza stampa, sa come è stata pronunciata questa frase: senza grossa enfasi, come se non si volesse sottolinearne il peso, come se fosse un inciso. Ma, appunto, diamo pure – per inciso – del “boia” al presidente della Repubblica italiana. Quand’anche arrivassero le scuse dell’onorevole Sorial – e ci auguriamo che queste arrivino, anche se lo stile del “capo” del Movimento 5 Stelle non sembra darci molte speranze e, si sa, i commilitoni tentano sempre di imitare il loro comandante – queste non potrebbero che sottolineare l’indifferenza e, insieme, la spregiudicatezza di una politica che non comprende più quello che dice. 



Vergogna, perché chi ci rappresenta politicamente non può e non deve usare un linguaggio da forcaiolo, da terrorista. Non lo possiamo permettere: la democrazia non può essere continuamente sporcata con un linguaggio inadeguato alla responsabilità del compito. Un’opposizione politicamente seria non contesta sguaiatamente: essa ha il compito di mantenere alto il confronto politico, duro ma rispettoso di tutte le posizioni. La politica non si grida: le ragioni non hanno bisogno di essere urlate ai microfoni (né durante i comizi, né nei vari talk show televisivi). Hanno bisogno di essere condivise. Con chi? Con la gente comune, con il sentire comune. Per questo invitiamo tutte le formazioni politiche a riflettere sul senso di responsabilità e sul senso dello Stato. 



L’affermazione del deputato grillino non è solo un’offesa alle istituzioni a cui lui stesso partecipa come nostro rappresentante, ma è un’offesa, un attacco, alla democrazia. A quella democrazia che i padri costituenti hanno costruito sulle macerie di un’Italia al collasso, con grande sacrificio e partecipazione da parte di tutte le forze politiche di allora. Ora come allora c’è un grande compito che attende la politica italiana: ricostruire un tessuto civile di convivenza e di reciproco rispetto. 

Non è forse un caso che questo evento sia accaduto proprio in questi giorni nei quali si inizierà a discutere di una nuova legge elettorale. È un invito a riflettere sulla percentuale da assegnare come premio di maggioranza: con percentuali troppo esigue si raggiungerebbe lo scopo di una maggiore governabilità ma alimentando il rischio di una falsa democrazia. Non possiamo pagare un prezzo così alto. È questo ciò che vorremmo bene comune?