Chi siamo noi per giudicare una madre disperata? Chi siamo noi per sospettare che la sventurata madre di Tivoli, perduta nel bosco con due bambini, abbia tramato qualcosa di terribile e assurdo nel fondo di una mente obnubilata? Che, pentita e spaventata, abbia poi cercato di rimediare? Eppure, nella storia che oggi assume i contorni della favola a lieto fine, c’è qualcosa che non torna, che non convince.



Leggiamo la sua intervista a Repubblica, con dovizia di particolari. Troppi. Porta i bambini a giocare, l’ultimo dell’anno. Una data non come le altre. In qualche modo, una data simbolica, anche per gesti eclatanti. Poi Manuel, il più curioso, chiede di passare per un boschetto, per vedere gli animali. E i tre si avventurano in un sentiero, parrebbe, senza avvisare nessuno. Sentiero? No, neve fresca, con scarpe non adatte, ci spiega la madre, che ha notato pure che il cellulare era quasi scarico. Una persona di senno dopo una decina di minuti si ferma, dice ai bambini che forse gli animaletti sono da un’altra parte, e tornando indietro li distrae proponendo una bella cioccolata calda in paese. Invece no, lascia passare il tempo finché diventa buio. Non pensa ai possibili raffreddori, alla tosse, e una madre l’avrebbe pensato, lo giuro.



Nel racconto di questa povera donna abbondano le considerazioni sul suo sfinimento, sulla sua stanchezza. Dei bambini, nulla. E poi quella nota sulla fame e sete, che li spinge a mangiare, “a morsi”, la neve. Ma come si fa a morire di fame dopo poche ore? Avranno ben mangiato a pranzo… ma lei, sempre lei, era “stremata”. Tra un adulto e due piccini al freddo e al buio chi cederebbe per primo?

Ma la mamma, benché a pezzi, cerca di far vivere il gioco, l’avventura. Fino a sperare in un aiuto dal cielo, addirittura un elicottero! Ma riprendere la strada di prima? O si trattava di una foresta incantata, che chiude ogni traccia alle spalle? Poi continua la fiaba: i bimbi perdono i guantini, e lei li porta su una roccia accanto a un ruscello per scaldargli i piedini. Non le mani, i piedi. Poi prova a prenderli in braccio: non ce la fa, se li carica sulla schiena, non ce la fa. Quanto pesavano quei bambini? Allora li accoccola l’uno vicino all’altro e dice loro di dormire “tranquilli” che sarebbe andata a cercare aiuto. E loro buoni buoni, al buio, nella neve, senza guanti… mentre la loro madre si allontana! Verso i dirupi, a valle, dove, diremmo, avrebbe dovuto volgere da subito i suoi passi, al primo dubbio. In genere scendendo a valle si trovano luoghi abitati.



Passano forse delle ore, ci informa. Non aveva neppure l’orologio? Finalmente vede le luci dei carabinieri. E non sa spiegare il posto dove ha lasciato le due creature. Ma come: neanche un’indicazione, una pista? Mica aveva volato, per arrivare lì. Passerà un’intera notte, mezza mattina del giorno dopo prima di trovare miracolosamente vivi Manuel e Nicole. Cosa che lei aveva sempre creduto possibile, mentre tutto il paese trepido immaginava il peggio. Ma essendo una donna credente, sapeva che le sue preghiera sarebbero state ascoltate, giura. Mai sfidare i santi. Soprattutto sulla pelle di due bambini.

Che ora vivono l’attimo da eroi, spiega la signora. Davvero? Qualcuno li ha sentiti? Davvero due bambini così piccoli riescono ad elaborare lo spavento, il gelo, l’angoscia come parte di un gioco? Dove hanno imparato a considerarsi eroi? Cartoni animati, fiabe? Avranno ascoltato quell’antica storia di Hansel e Gretel, avranno saputo paragonare la loro situazione, e cercare il miraggio di una casetta di biscotto dove ripararsi?

Difficile, troppo difficile crederlo. Difficile anche credere alla serenità del padre, che protegge la sua donna, e la ringrazia per quello che ha fatto. L’altra mamma, la sua prima compagna, non ringrazia affatto, e nessuno le ha chiesto una parte nella favola bella. Perché non potrebbe che piangere e gridare alla follia. Abbiamo pensato tutti, alla follia, e, per un guizzo, a un più atroce sospetto: una vendetta, la voglia di andarsene, portando con sé quei bambini. Non sarà vero, Dio voglia che non sia vero. Attacco di panico, esaurimento, possono in parte spiegare, e aiutare a comprendere.

Non sta a una curiosità malsana indagare troppo, o commentare i silenzi o i tentativi del padre di accomodare la storia: ci sono ragioni per non mettere in piazza il disagio, e non infierire scavando nei gorghi della mente. C’è un’inchiesta aperta, che fornirà i suoi elementi a chi soprattutto in questo caso deve entrare in gioco: medici, e psicologi. Per placare l’ansia e con dolcezza sapere qualcosa di credibile proprio dai bambini, per accompagnare la madre. Lasciamo stare le interviste. La realtà comunque la si guardi è cruda, non c’è bisogno di trasformarla in reality. Ci bastano le fiabe, ad ammaestrarci, e non tutte erano a lieto fine.