Christiane Seganfreddo, insegnante, 43 anni, è scomparsa nella neve dal 30 dicembre. Finora le ricerche non hanno dato risultati. La donna vive a Saint-Pierre, Aosta, col marito e il figlio di due anni. Li ha lasciati senza un biglietto, senza dire nulla. “Non posso accettare di non vedere più il blu del cielo, il bianco della neve e il verde dei prati” si legge sul suo profilo Facebook. Ama la natura, Christiane, con tutta l’anima. Una miastenia oculare sta per toglierle tutto quello che ha, o che lei reputa di avere. Il suo campo visivo si sta progressimavente sfuocando.
“C’è l’ipotesi che la donna possa essere scappata per aver sopravvalutato la gravità del suo stato di salute” ha detto il questore di Aosta. Un gesto disperato dunque, letto subito come esito estremo del suo sconforto. Gli ultimi testimoni l’hanno vista allontanarsi da Saint-Pierre a piedi, con indosso un giaccone e un paio di jeans, niente a che vedere con quello che serve per affrontare le rigide condizioni meteo di questi giorni.
Chissà cosa c’è, ora, nella mente di Christiane. A volte nella vita ci afferra un misto di rabbia, vuoto, disperazione. Intuiamo che qualcuno ci cerca e cresce in noi l’incertezza e la confusione. Il pensiero va al marito, Renato; allo sguardo smarrito del bimbo, a cui dicono che la mamma è andata via ma tornerà presto.
Christiane se n’è andata a causa di un amore tradito. La vista per lei è tutto: ha scelto di insegnare arte, ama la natura e la montagna, di una passione che solo chi la frequenta può capire.
Per questo non può accettare. Non potrà più vedere ciò che ha toccato finora, mettere l’occhio nel mirino della macchina fotografica, appropriarsi di quell’infinità e custodirla, cercare gli appigli e muovere i passi. Sa che immaginare non basta, che per sognare occorre prima vedere, bere a sazietà ciò che la luce ci dona di possedere. Un compromesso, quello dei contorni sfuocati, del saluto ricambiato a un figlio che non vedrà più come prima, delle montagne divenute incerte, che Christiane, mentre scriviamo, forse sta ancora lottando per accettare.
Per questo se n’è andata, forse in preda alla sete di vedere quel bianco, bello e ovattato, un’ultima volta, nel folle tentativo di naufragarci dentro, di farlo suo il più possibile. A nulla deve valere il grandangolo della memoria, ha pensato Christiane quando ha capito, e ha cominciato ad abbozzare i limiti di una vita senza forme.
Mentre le ricerce vanno avanti, può darsi che il suo cuore non si sia ancora fermato, e che nel buio che abita in lei si affacci un pensiero diverso.
La bellezza che sta nella nostra anima, Christiane, è un dono che ha sempre, costantemente bisogno di noi. Ma nelle montagne l’uomo cerca l’infinito, per questo nessuna di esse potrà mai appagare il nostro sguardo, anche se le vedessimo tutte, da tutti i punti di vista e in tutta la loro magnificenza possibile. Chissà quante volte hai pensato a tutti coloro che avevano davanti ciò che tu vedevi e che per loro nemmeno esisteva; quanto poco se ne facevano dell’infinita varietà delle montagne, che per loro erano solo potenziali cave di pietra senza nome. I nomi, fa dire Jan McEwan a un suo personaggio, hanno la straordinaria proprietà di rendere un fatto osservabile. Ecco perché tante cose non esistono per i molti che pure le vedono. Che indifferenza inconcepibile. Quando la vista diminuisce, lo spazio viene recuperato altrove. Forse non potrai accompagnare in giro tuo figlio, ma lui ha bisogno di te perché stando con te erediterà il tuo sguardo.
Vogliamo tutti credere che, nel gelo di un riparo, ora Christiane Seganfreddo pensi all’abbraccio dei suoi cari. Se non capiamo di essere dono a noi stessi, cioè di essere figli, anche la bellezza che abbiamo tanto cercato assisterà muta al nostro sacrificio.
(Federico Ferraù)