Pubblichamo l’omelia di Mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, in occasione della solennità dell’Epifania.
Cari fratelli e sorelle,
È una tradizione che si rinnova ormai da alcuni anni: per la festa dell’Epifania del Signore sono invitati, assieme ai fedeli nativi di questa parrocchia e di questa città, amici originari di tante diverse nazioni del mondo, ma che oggi abitano e lavorano nella nostra terra. Tutti siamo partecipi dell’unica fede in Cristo Gesù, legati dal vincolo dell’unica carità, animati da una sola speranza, la salvezza portata dal Signore.
In questo modo, nel luminoso spazio della nostra Cattedrale è visibilmente rappresentata l’immagine della Chiesa. In essa vediamo il popolo di Dio, il Corpo di Cristo, a cui sono chiamati tutti i popoli del mondo.
Attraversati di frequente dai problemi quotidiani, abbiamo forse perduto la gioia della fede. Il nostro carissimo papa Francesco ha voluto intitolare la sua esortazione a tutto il popolo di Dio: la gioia del Vangelo. La festa di oggi ci invita alla gioia, alla festa, perché la luce portata dall’Incarnazione, apparsa nel giorno di Natale, oggi si spande a illuminare tutta la terra.
Nel fuoco di questa luce vediamo la nuova Gerusalemme, la Chiesa, che brilla non di luce propria, ma della luce che riceve da Gesù, il suo Sposo. Essa che è chiamata a portare questa luce a tutti gli uomini.
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere (Is 60,1.3).
I magi, che vendono dai diversi paesi dell’Oriente, stanno a significare proprio questa vocazione universale del popolo cristiano.
I pastori vanno alla capanna, rimangono in contemplazione di quel bambino e poi tornano, cambiati, alla loro vita. I magi, dopo aver adorato il bambino, tornano ai loro paesi. Anche noi, invitati dal Papa ad uscire da noi stessi per andare incontro agli uomini, per rivelare loro la grande notizia dell’Incarnazione, come potremo andare se prima non abbiamo un po’ sostato a guardare, toccare, contemplare il Verbo della vita che si è manifestato nell’umanità di Gesù?
A noi, cari fratelli e sorelle, è stato fatto un grande dono, inaudito e assolutamente immeritato: il dono della fede. Abbiamo trascorso l’anno passato a meditare e ringraziare per questo dono. Esso non è un privilegio che ci distacca dagli altri uomini, all’opposto: esso è l’incontro con il Signore, unica speranza e forza della nostra vita. Egli ci dice: andate, evangelizzate. Parlate di me. Mostrate, prima ancora nel vostro volto che nelle vostre azioni, la bellezza della fede, della carità vissuta, dell’accoglienza, del perdono, la gioia della speranza.
L’Epifania è una festa missionaria. La nostra missione non vuole imporre agli altri uomini alcuni dogmi incomprensibili. Vuole mostrare con la vita l’umanesimo portato da Gesù, che ha inaugurato una pagina radicalmente nuova nella storia degli uomini.
Cari fratelli e sorelle, il vangelo di questa mattina ci porta al tempo del re Erode. Un re scosso dalla paura permanente di perdere il proprio potere e perciò sempre all’erta, sempre sospettoso, pronto ad uccidere chiunque per salvare il proprio regno. Ancora oggi molti fratelli cristiani sono perseguitati, imprigionati, uccisi a causa della loro fede. Siamo loro vicini nella preghiera e nella comunione.
Ancora oggi molti uomini sono vittime della rapacità dei potenti che nella politica, nell’economia, nei mezzi di comunicazione sociale vogliono imporre le proprie ideologie a scapito dell’uomo. Così si vuole eliminare chi soffre, chi non è più produttivo. Si scatenano guerre, causa di distruzione e di morte, si nega valore alla famiglia naturale.
Abbondano tante realtà di povertà materiale e spirituale, causate anche dall’aridità dei mercati e da traffici illeciti.
La luce dell’Epifania illumini gli uomini di governo e di cultura sul vero bene dell’uomo. Tutti dobbiamo rispondere a Dio. E illumini ciascuno di noi, così da renderci autentici testimoni di Cristo, luce delle genti.
Amen.