L’intervento di Giuliano Cazzola sui possibili costi previdenziali del riconoscimento delle unioni civili proposto dal nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi, segnala un tema molto importante, in modo forse provocatorio e paradossale, consentendo quindi qualche riflessione non solo economica.

Cazzola giustamente ricorda che se alle unioni civili venisse garantita la reversibilità (come in modo superficiale e irresponsabile chiede il neo-segretario del Pd), i costi previdenziali crescerebbero in modo incontrollabile, e tanti “furbetti” avrebbero uno strumento in più per sfruttare il sistema di welfare. Una unione civile, legame per definizione leggero, di fatto privo di impegni sostanziali, avrebbe infatti, secondo quanto si sa della proposta del Pd, lo stesso diritto previdenziale della reversibilità per il partner, esattamente come chi è regolarmente sposato, senza doversi assumere tutti gli impegni del matrimonio (ricordate gli articoli del codice civile, quelli che si leggono durante i matrimoni “veri”?). Alla faccia della uguaglianza di fronte alla legge.



Allora, prosegue Cazzola, in modo provocatorio e paradossale, meglio sarebbero i matrimoni gay, che avrebbero un impatto economico molto ridotto. Infatti, aggiungo io, ben pochi si sposerebbero, e i numeri sarebbero ben limitati. Basta guardare i numeri degli inutili “registri comunali delle unioni civili”, sbandierati come grande conquista di civiltà da tante amministrazioni comunali, e rimasti pressoché deserti. Ma qui, usando un codice comunicativo paradossale e provocatorio, si rischia una deriva drammatica, anche al di là delle intenzioni di Cazzola. Non si difende la famiglia come luogo in cui le persone vivono, amano, diventano cittadini, come “società naturale fondata sul matrimonio” (è reazionario o omofobo citare la Costituzione, che presuppone un legame tra uomo e donna, l’apertura alla vita e il matrimonio?), ma si subordina il suo destino a come vanno i conti pubblici. Per cui, se mancano 500 milioni di euro alla stabilità, non si chiude il buco tagliando i costi della politica, o acquistando un F35 in meno, ma si dice: “meno detrazioni!”, cioè meno sostegno alle famiglie.



Dare la reversibilità alle unioni civili è sbagliato perché premia un legame debole, volatile, anziché investire sul rapporto coniugale matrimoniale (vero impegno pubblico, altro che “loveislove”!); non è sbagliato perché “costerebbe troppo”. Così, si ragiona sulla famiglia senza preoccuparsi della famiglia, ma dei conti pubblici. Già oggi accordi scritti privati potrebbero sistemare pressoché tutte le problematiche delle “unioni di fatto”; forse si potrebbe anche ipotizzare qualche limitato e circoscritto intervento amministrativo o legislativo – di tipo solo privatistico–patrimoniale, ad ogni buon conto.



Ma la reversibilità per le unioni civili è un errore gravissimo non tanto perché costa (il che rimane comunque vero, come ricorda Cazzola), ma perché il rapporto di coppia delle unioni civili non si assume responsabilità pubbliche, è asservito ad un individualismo che chiede solo diritti, senza doveri, mentre il matrimonio è una vera e propria alleanza, sottoscritta con doveri e regole certe, tra marito e moglie, e soprattutto tra i coniugi e la società, che esige una responsabilità pubblica. Per questo sarebbe profondamente iniquo consentire la reversibilità anche alle unioni civili, che chiedono tutto senza dare niente.

Purtroppo emerge qui uno dei più grandi difetti della politica del nostro Paese, quando si parla di famiglia: non la si protegge, né la si promuove, né la si sostiene, nelle sue reali sfide quotidiane, ma la si usa e strumentalizza. Si usano i cosiddetti “diritti civili” per annacquare l’identità dell’istituzione famiglia, senza preoccuparsi di come sostenerla. E quando si tratta di risorse economiche, I problemi del Paese sono sempre altri, le risorse sono sempre per altri. Eppure le famiglie tengono insieme il Paese, e il legame coniugale e genitoriale, pur fragile e difficile, è la principale e più efficace risorsa di solidarietà nel nostro Paese. Ben più del sistema di welfare statale, ben più dell’equità fiscale nel nostro Paese, ben più della solidarietà intergenerazionale non garantita oggi dalla previdenza pubblica (come dimostra la difficoltà di colpire le pensioni d’oro o di sostenere il lavoro dei giovani).

Se proprio bisogna spendere per qualcosa che ha a che fare con la famiglia, che si investa finalmente a favore di quelle famiglie che ancora osano dare alla luce una nuova vita, a quei genitori che sacrificano la propria vita per allevare, educare e far crescere i propri figli. Ma finora, da tutta la politica ben pochi hanno segnalato questa priorità e hanno agito di conseguenza. E pensare che a giugno 2012 un governo della Repubblica italiana ha approvato un Piano nazionale per la Famiglia: finora, solo carta! E’ tempo di passare dalle parole ai fatti.