Era il 29 giugno del 1972 quando Paolo VI, durante la Messa celebrata in piazza San Pietro alla presenza di tantisismi fedeli, disse di avere la sensazione che “da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”. E’ invece il giornalista Antonio Socci, in un articolo pubblicato oggi su Libero, a far notare quanto sia ancora alto questo rischio: il gesuita Antonio Spadaro è intervenuto di recente sul Corriere della Sera per spiegare che “il Papa non ha aperto alle coppie gay come hanno titolato alcune agenzie. Il Papa non sta legittimando proprio nulla: nessuna legge, nessun comportamento che non corrisponda alla dottrina della Chiesa”. Parole finalmente chiare, scrive Socci, “infatti è Gesù stesso nel Vangelo a insegnare ai suoi apostoli a dire sì, se una cosa è sì, e no se è no”. Il resto, invece, “viene dal Maligno” (Mt 5,37). E’ però palese quanto troppo spesso il messaggio del Pontefice venga travisato. Secondo Socci, Spadaro ha provato a dare la sua interpretazione del magistero del Papa per scongiurare altri fraintendimenti: “C’è riuscito? No. Ecco perché”. Spadaro ha infatti indicato “un preciso target” che dovrebbe essere al centro delle attenzioni della Chiesa, cioè “i figli di genitori divorziati e i figli si trovano a vivere avendo come riferimento domestico due persone dello stesso sesso”, aggiungendo che la Chiesa “sarebbe davanti a una sfida inedita e dovrebbe elaborare nuove strategie pastorali”, scrive Socci, il quale replica: “A me pare superficiale presentare come una novità assoluta l’esistenza di nuclei familiari non tradizionali. C’erano già nei primi tempi cristiani, sotto l’Impero romano e fra i popoli barbari, così come nelle terre di missione, nel corso dei secoli fino ad oggi (dove da sempre vige pure la poligamia). Perfino i matrimoni fra persone dello stesso sesso c’erano già 2000 anni fa, per l’élite imperiale”. Eppure, di fronte ai costumi antichi, “non risulta che gli apostoli abbiano escogitato strategie pastorali per ogni caso”. Anzi, Paolo “usò parole durissime e mise in guardia i cristiani dal conformismo delle mode e dalla cultura mondana”. Spadaro fa poi un’altra osservazione: “Anni fa, parlando agli educatori, Bergoglio aveva scritto che le scuole cattoliche ‘non devono in alcun modo aspirare alla formazione di un esercito egemonico di cristiani che conosceranno tutte le risposte, bensì devono essere il luogo in cui tutte le domande vengono accolte, e dove, alla luce del Vangelo, si incoraggia la ricerca personale’”. Tesi interessante, risponde Socci, che però può essere interpretata erroneamente: “Perché il cristianesimo non è la ricerca, ma è la Risposta diventata carne. L’errore da non ripetere è quello del post-Concilio quando si sostituì la fede con il dubbio e con l’incertezza. Cosa che portò al crollo più devastante della storia della Chiesa”. Socci poi cita don Luigi Giussani, il quale disse che “questa è l’ombra più grave: è stato eretto e insegnato, e magari dal pulpito, che l’incertezza sia una virtù e che la certezza sia una violenza. Come se Dio fosse diventato uomo, fosse venuto in mezzo a noi per aumentare le nostre incertezze; eravamo capaci da soli di inquietudini e di confusioni! Egli è venuto dicendo: ‘Io sono la luce del mondo’…. Il recupero di questa certezza è l’opera che il Concilio si aspetta da chi lo medita e gli obbedisce con cuore fedele”. Proprio in don Giussani, spiega il giornalista su Libero, “troviamo il modo giusto di interpretare l’invito di Bergoglio a una Chiesa come ‘luogo in cui tutte le domande vengono accolte’”. Infatti Giussani spiegava che



 “condividere il bisogno è l’unico modo per leggerlo, ma la lettura sarebbe mondana se non partisse dalla tradizione cristiana… l’inizio della presenza dentro l’ambiente non è l’ambiente, ma qualcosa che viene prima… l’annuncio non viene dalla nostra intelligenza nel dirimere le questioni, ma viene prima, è qualcosa che ci è dato”. Secondo Socci, quindi, “serve rileggere Paolo VI e Giussani più che Spadaro”.

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