Maltempo a Genova. Poi ci saranno gli angeli del fango e poi gli artisti e i cantanti che faranno spettacoli per raccogliere soldi. E i genovesi che, si sa, hanno il cuore grande, e poi Genova è la Superba e non si piega mai. E poi i commercianti ripartiranno da soli come hanno fatto un milione di volte in questi decenni, e poi queste tragedie uniscono i cittadini. Intanto c’è un morto. Tre anni fa ci furono sei morti. Poco vicino a Genova, nelle Cinque Terre, una settimana prima i morti erano stati tredici. Nel 1970 i morti a Genova per alluvione erano stati 44. Le zone, sempre quelle, comprese tra i torrenti Bisagno e Fereggiano, i quartieri quelli di Quezzi, Foce, Molassana, San Fruttuoso, Marassi, Brignole, Sestri Ponente e Voltri. Il periodo dell’anno pure, dai primi di ottobre alla metà di novembre all’incirca. Contando anche le vittime di alluvioni precedenti quella del ’70 e altre “minori”, si arriva dal dopoguerra a oggi a un centinaio di morti. Una strage con il contagocce.
Su internet, nelle ore immediatamente successive a questa ultima alluvione, è apparsa una foto, quella del torrente Fereggiano scattata un giorno prima. Il letto del torrente, che scorre come tutti gli altri tra case abitate, è invaso da alberi e piantagione selvaggia, cespugli, spazzatura e poca, pochissima acqua. Qualche ora dopo questo stesso letto sarebbe stato invaso da acque violente e impazzite che davanti a questi ostacoli sarebbero uscite allagando ogni cosa intorno. Come tre anni fa, quando proprio lungo il Fereggiano si contarono i morti, annegati come topi.
Non stupisce che la gente di questa zona, il giorno dopo, quando sono arrivati alcuni vigili urbani e i tecnici della protezione civile, li abbia assaliti e aggrediti insultandoli. Tre anni dopo quel torrente maledetto era ancora in quelle condizioni. 44 anni dopo la devastazione del 1970 Genova era di nuovo in ginocchio nel fango a piangere un nuovo morto, un infermiere di 57 anni, annegato in un sottovaso mentre tornava a casa. Anche l’auto blindata del cardinale di Genova ha espresso il suo malumore per quanto accadeva: spinta dalle acque furiose, è andata a sbattere contro le mura della questura aprendoci dentro un varco. Forse c’era dentro un autista invisibile, molto arrabbiato anche lui.
Perché questa storia si ripete?
Si possono fare tutte le polemiche che si vogliono, le colpe delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali sono tantissime, da quella che governava Genova nel 1970 a quella attuale. C’è del sangue che scorre per i palazzi comunali della Superba, e non verrà lavato da nessuna prossima alluvione. C’è da dire che appare strano che un sindaco eletto proprio per cancellare l’amministrazione in carica durante l’alluvione del 2011 e che ebbe colpe gravissime nel sottovalutare il disastro, in questi tre anni non abbia fatto niente per migliorare la situazione: o è scemo, perché adesso nessuno la prossima volta lo voterà più e un sindaco queste cose le sa o le dovrebbe sapere, o c’è dell’altro. Poteri che si incrociano e si annullano e causano danni in una Italia in perenne emergenza ambientale, morale e politica.
Il sindaco Marco Doria ha commentato così i fatti: “Non dirò mai state tranquilli ai genovesi, perché non mentirò mai ai cittadini. Genova è una città malata e fragile, ha un corpo malato che non si può curare con l’aspirina. Ci vogliono i lavori sulla copertura del Bisagno, lo scolmatore del Fereggiano, gli antibiotici: noi le abbiamo varate queste opere, ma sono bloccate dalla burocrazia e dai ricorsi. Senza di esse, nulla potrà evitare il disastro”.
Chi scrive è nato e cresciuto a pochi chilometri da Genova. Chi scrive ama Genova ed è pieno di rabbia e di dolore per questa ennesima tragedia. Chi scrive ha passato molti anni della sua adolescenza a spalare il fango delle alluvioni che comunque in Liguria, specie nella zona di Genova e provincia, ci sono tutti gli anni, non tutte fortunatamente mortali. A scuola, quando c’era una di queste alluvioni, ci venivano dati dei giorni di permesso che non venivano contati come assenze, per andare ad aiutare chi aveva avuto un negozio o una casa, invasa dal fango. Ci andavamo, a dire la verità, più per saltare la scuola che per autentica passione civile. Però una volta sul posto si veniva a contatto con gente stanca di subire questi accadimenti, che in silenzio si metteva insieme a noi ragazzi a spalare e a pulire. Ricordo una giornata passata in un torrente gelido dalle parti di Campo Ligure a lavare le pelli di un commerciante, erano tutte sporche di fango. Con lui che alla fine ci portava a casa sua, anche quella piena di fango, a bere del vino. Un anno invece ci portò a spalare un sacerdote che in quel periodo stava con noi studenti. Non eravamo angeli del fango, proprio no, ma ci andammo per amicizia con questa persona e quel giorno quella amicizia, forse anche per via del fango, si cementò per la vita. Quel prete lo ricordo molto bene e ogni tanto quando torno in Liguria lo rivedo ancora: sembra passato un giorno da quel pomeriggio. Siamo cresciuti tutti nel fango, in Liguria.
Genova e la Liguria non sono malate come dice il sindaco Doria. Genova e la Liguria non sono maledette. Genova e la Liguria sono forse più amate di tante altre regioni italiane dal buon Dio, che non maledice nessuno, anzi. C’è qualcosa di straordinario da quelle parti: è come se ogni volta la gente che vive qui dovesse fare i conti con qualcosa di più grande che sfugge a qualunque piano cittadino, a qualunque ordinanza comunale, a qualunque sindaco. A Genova c’è un pietà grande che si incarna ogni volta in tutto questo fango e dolore. Anche per un amministratore, dopo decenni di fallimenti che noi non vogliamo indagare, a un certo punto farebbe bene guardare “oltre”, perché forse non basta cercare di essere solo un buon amministratore visti i tanti fallimenti genovesi.
Non è un caso allora che uno dei santuari più importanti di Italia, quello della Madonna della Guardia, si trovi proprio sopra a Genova, da cui la domina. Un santuario nato dopo che un pastore, a cui la Madonna aveva chiesto di costruire una cappella e che lui aveva ignorato, cadde da un albero rischiando di morire. Forse c’era stata una alluvione anche allora, forse stava aspettando il parere di qualche amminsitratore dei suoi tempi, ma il pastore guarì miracolosamente e ricordandosi delle parole che la Madonna gli aveva detto qualche giorno prima, si mise a costruire la cappella. Quel santuario fa la “guardia” a Genova, ma gli uomini di oggi se ne sono dimenticati. Il Feraggiano però adesso mettetelo a posto, per favore.