L’aspetto che più colpisce dell’alluvione di questi giorni di Genova è che sembra che i fondi per la “messa in sicurezza” della città da eventi di questo genere erano stati messi a disposizione, ma che non sono stati spesi. Nulla sembra centrare il patto di stabilità o la situazione finanziaria degli enti in questione. Sembra, infatti, che non sono stati spesi semplicemente per questioni di ordine amministrativo. Per chi si occupa di Pubblica Amministrazione, la notizia non sorprende per nulla. L’attuale normativa di diritto amministrativo è talmente intricata e contorta da ingenerare un fenomeno che ormai definirei “psicosi amministrativa”. Infatti, di fronte a questo proliferare di norme i dirigenti pubblici, non altezza della situazione, preferiscono non prendersi responsabilità e semplicemente “non fare”. In alcuni casi, come per quanto riguarda il codice degli appalti, anche laddove vi sia certezza del diritto, sembra che seguire scrupolosamente la normativa induca a rallentare in modo strabiliante i processi di acquisto e a far costare le opere un multiplo indefinito di quanto si potrebbe fare con una normale comparazione delle offerte a prezzi di mercato. Il dirigente pubblico medio preferisce quindi astenersi da ogni azione e vive le proprie attività amministrative con il costante terrore di essere inquisito o che ricada su di lui qualche responsabilità legale. In questa psicosi partecipa anche la Politica spesso chiedendo atti palesemente contrari all’interesse generale per poi accusare la magistratura di persecuzione politica quando sono messi in discussione. Nella pavidità di molti dirigenti pubblici, pronti a tutto pur di salvaguardare il loro posto di lavoro, e nel protagonismo sconclusionato della classe politica vanno ricercati i responsabili principali della scarsa efficacia delle Amministrazioni Pubbliche. Tra questi invece si trovano anche degli autentici “eroi” che circondati da collaboratori (troppi) poco proattivi e controllori politici, più attenti al loro interesse, che a quello generale, si battono perché le Amministrazioni diano un servizio all’altezza delle attese del cittadino. Come si chiamano questi manager? Leader. Il problema dell’amministrazione pubblica sta tutto in questo tema. Come costruire una leadership che, a costi ragionevoli, sappia assumersi responsabilità e con il buon senso del padre di famiglia sappia impiegare mezzi e risorse in modo adeguato superando ostacoli di ogni genere e disponibili a sedersi magari di fronte ad un magistrato per spiegare le motivazioni della propria condotta. Una leadership che sappia trascinare i tanti impiegati protetti dal diritto del lavoro e colmi di diritti acquisiti, ma che non pensano di dover fare molto per meritarseli. Una leadership che sappia innovare processi e persone e tagliare sprechi e privilegi. Questi leader sono già presenti in molte amministrazioni e il loro stipendio non corrisponde quasi mai alla vastità delle loro responsabilità e all’importanza delle loro scelte. Laddove non ci sono, andrebbero selezionati attirando i migliori e non semplicemente selezionando i meno peggio. Nell’introdurre meritocrazia nella selezione e gestione della leadership sta tutta la sfida di cambiare le molte Pubbliche Amministrazioni italiane.   Tutti gli altri continueranno a nascondersi nelle pieghe del diritto amministrativo o in qualche dietrologia politica di quart’ordine. 



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