“L’analisi del Dna è un dato scientifico. E lo rimane. Quello che alle volte rischia di falsarne il senso è l’interpretazione che qualcuno ne dà. In molti casi può essere dirimente. In altrettanti può essere uno dei tanti elementi. In altri ancora non serve a un granché nella definizione dei casi”. A parlare è Francesco De Stefano, direttore dell’istituto di Medicina legale all’Università di Genova che ha da poco depositato la sua perizia per l’omicidio di Garlasco. Senza entrare nel merito dell’indagine sull’omicidio di Chiara Poggi, l’esperto spiega in una intervista all’Ansa che in generale la prova del Dna “inchioda quando qualcuno ritiene di poter affermare o comunque afferma che in quel posto non c’è mai stato o che contatti con la vittima non ne ha mai avuti. E noi troviamo invece tracce del suo Dna, o Dna simile al suo, sul luogo del delitto, sulla vittima. In questi casi può risultare dirimente, colloca una persona in un certo luogo”. Altre volte, però, “non serve a granché quando l’analisi del Dna mette in evidenza soltanto l’ovvio”. De Stefano ricorda quindi che “noi diamo un dato tecnico” e che “poi tocca ai giudici capire qual è l’importanza che ha all’interno del processo. La cautela deve essere sovrana. Alcuni magistrati, per fortuna sono pochi, dall’analisi di laboratorio si aspettano la soluzione del caso. Ci sono altri magistrati, per fortuna la maggior parte, che si sforzano di capire come quel dato di laboratorio può entrare nel processo e quale importanza può assumere”.