L’anno che verrà. Si potrebbe prendere a prestito il titolo della canzone di Dalla per iniziare a parlare del Sinodo straordinario dei Vescovi che si è solennemente chiuso ieri con l’aggiunta sontuosa della beatificazione di Montini (il pontefice che i sinodi li ha quasi inventati o per lo meno fatti respirare).
Perché da oggi inizia la seconda tappa del cammino di “discernimento” intorno alla famiglia voluto da Bergoglio e intrapreso con coraggio e determinazione (e quanta) dalla Chiesa. Se le ultime due settimane sono da considerarsi un prologo o il climax della vicenda, lo scopriremo proprio nei prossimi mesi. Certo vescovi, curia e l’immancabile codazzo di vaticanisti e osservatori, escono frullati dall’aula nuova in Vaticano, dove a tratti è sembrato che andasse in scena uno psicodramma ecclesiale. Con interventi veementi, polarizzazioni intorno a temi scottanti, disputatio accese, levate di scudi, appelli alla trasparenza, relatio sconfessate, pazienti mediazioni e pacificazione finale.
Tutto già visto, esattamente 50 anni fa, nel bel mezzo del Concilio preso in mano proprio da quel beato fatto ieri. L’8 dicembre del 1965, a conclusione del Vaticano II, dopo aver promulgato la costituzione Gaudium et Spes, Paolo VI diceva: “Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano”. Più o meno ciò che i padri sinodali hanno voluto ribadire nei due documenti, di natura diversa, approvati e resi noti al termine dei lavori, e consegnati al mondo.
Prima l’innocuo e “quasi scontato” (definizione dell’estensore card. Gianfranco Ravasi) messaggio presentato nella mattinata di sabato, poi la Relatio Synodi, approdo sofferto di giorni intensi, e in qualche modo inaspettati, per il corpo sinodale. La libertà è faticosa. E quella consegnata in apertura dell’assemblea straordinaria sulla famiglia, da Bergoglio, ai convocati a Roma a tratti è sembrata insopportabile. Con il Papa in silenzioso ascolto, per due settimane, vescovi e cardinali hanno dovuto fare i conti con le grandi attese suscitate dall’evento, la responsabilità di affrontare un confronto su un tema che tocca tutti (perché tutti abbiamo una famiglia) e il bisogno di coniugare tradizione e pastorale, dottrina e misericordia.
Sono riusciti nell’impresa, con un testo profondamente rimaneggiato rispetto alla discussa Relatio post disceptationem, letta dal cardinale ungherese Peter Erdo e scritta dal teologo Bruno Forte, che tanto aveva disturbato a metà del Sinodo. Un documento frutto della sapiente sintesi dello sproporzionato numero di emendamenti, correzioni, obiezioni emerse nei Circuli minores. Dei 62 punti messi ai voti, solo 59 hanno ottenuto la maggioranza qualificata, vale a dire i due terzi dei voti. Per tre pronunciamenti ci si è dovuti accontentare di quella relativa, non proprio brillante. E la pubblicazione dell’esatto resoconto dei placet-non placet (voluta da Papa Francesco in persona) ha dimostrato che maggioranze e minoranze esistono anche nella chiesa, che si fronteggiano, a volte si sfiorano, ma che in fondo contano poco visto che l’ultima parola spetta a Pietro. O Francesco come nel nostro caso.
Perché è indubbio che l’applauso liberatorio al termine del “meraviglioso discorso” (copyright del direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi) con cui Bergoglio ha suggellato la prima tappa del processo sinodale sulla famiglia, ha mostrato l’esasperazione e forse l’inquietudine accumulata durante le settimane di lavoro da molti presenti in aula. Standing ovation, ci hanno riferito i testimoni oculari. E non si fa fatica a crederlo, visto il calibro dell’intervento, che qualcuno si è spinto a infilare tra i più importanti di questo già denso pontificato.
Ha taciuto a lungo Francesco, ma quando ha parlato si è fatto sentire. Un’altra delle sue amorevoli sferzate, che mi hanno ricordato l’atto di accarezzare il cavallo con il frustino, compiuto dal cavaliere quando, in prossimità dell’ostacolo, vuole incoraggiarlo al salto. E’ tutta questione di sintonia: miscela di conoscenza profonda, autorevolezza e fiducia. Qualcuno preferisce come metafora la barca e il timone, ma credo che la riottosità e imprevedibilità dell’animale di fronte alla barriera si addicano di più a questa chiesa che a volte si impunta senza sapere che ha già la forza per affrontare il balzo, e che può agitarsi e scartare, ma che è guidata da un campione in grado di tenere con saldezza le redini. Cum Petro e sub Petro, aveva detto aprendo il Sinodo il Papa, garanzia e sicurezza. Cum Petro e sub Petro, ha ribadito alla fine per riportare tranquillità e pace in un’assemblea inasprita da diverse posizioni su divorziati/risposati e su quell’inopportuna, a giudizio di molti, valorizzazione delle unioni omosessuali. Il Papa che garantisce l’unità, che ricorda il dovere dei pastori (che non è semplicemente quello di accogliere le pecorelle smarrite, ma di andarle a cercare), che infine ripropone nel servizio la vera natura della Chiesa. Il Papa che testimonia una grande fede nello Spirito Santo, quando afferma che la Chiesa quando “nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare”.
Allora vengano pure le tentazioni: “l’irrigidimento ostile” di chi si arrocca nella legge senza “lasciarsi sorprendere da Dio”, “il buonismo distruttivo” che usa una misericordia ingannatrice, “fasciando le ferite prima di medicarle”, “il trasformare “la pietra in pane” e “il pane in pietra da scagliare contro i peccatori e i deboli”, la tentazione di “scendere dalla croce” per accontentare la gente, “piegandosi allo spirito mondano” e infine “il trascurare il depositum fidei, non considerandosi custodi ma padroni” o dall’altra parte “trascurare la realtà” per privilegiare i “bizantinismi”.
Il Papa non ha paura. Bergoglio non teme la discussione e le tentazioni. A patto che ci si ricordi che Gesù mangiava e beveva con prostitute e pubblicani, e che la sua Chiesa non può chiudere le porte in faccia a nessuno. Con citazioni accurate di Joseph Ratzinger, Padri della chiesa e canoni vari ha ricordato il compito di ogni vescovo preso da solo o in comunione con i fratelli nell’episcopato: “manifestare l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della Speranza”. L’unico e definitivo compito per l’anno che verrà.