Caro direttore,
sono stati la ragionevolezza, la capacità persuasiva degli argomenti, i toni mai sopra le righe, la compattezza e la determinazione di otto esponenti della minoranza politica del Consiglio della Provincia autonoma di Trento, a costringere, dopo un’estenuante dibattito durato sei giorni consecutivi, sabato e domenica inclusi, il presidente delle Provincia, Ugo Rossi, a sospendere e rinviare all’anno prossimo l’esame del disegno di legge “antiomofobia” proposto dal centro sinistra autonomista di cui è espressione il governo del Trentino. Un disegno di legge per contrastare, dice il titolo, le “discriminazioni dovute all’orientamento di genere”, che (assemblato con un testo di iniziativa popolare per il quale Arcigay e Arcilesbica avevano raccolto 7mila firme) secondo la maggioranza avrebbe dovuto essere approvato nel giro di poche ore.



Così però non è stato, perché sia dai miei continui interventi che di quelli dei colleghi dell’opposizione, è emersa sempre una posizione molto ferma, pacata e chiara, con la quale siamo riusciti a dimostrare la scarsissima utilità e le finalità pretestuose, perché esclusivamente ideologiche, di questo provvedimento. Ci siamo riusciti perché abbiamo innanzitutto dichiarato e ribadito il nostro pieno rispetto delle persone e un deciso “no”, umano prima ancora che politico, ad ogni forma di discriminazione, per combattere la quale, tra l’altro, ci sono già molte leggi a partire dagli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione.



Pur con accenti diversi abbiamo contestato in particolare l’obiettivo di fondo di questa normativa: promuovere una cultura di genere partendo dall’educazione scolastica. Il disegno di legge, infatti, prevede interventi nelle scuole rivolti ai bambini e ai ragazzi per “educarli” al fatto che una persona non è maschio o femmina, ma è quello che sente di essere. Una “politica” educativa che prevede interventi in classe fin dalle scuole elementari e punta, cito testualmente, sullo “scardinamento delle rappresentazioni stereotipate del maschile e del femminile, con particolare riferimento alla letteratura per l’infanzia e ai libri di testo”. Ciò significa affidare alla Provincia il compito di realizzare una vera e propria rivoluzione culturale e soprattutto antropologica.



Nei nostri interventi abbiamo ricordato il “no” espresso anche da molti politici nazionali di ogni appartenenza a interventi invasivi come questo, volti in ultima istanza a ridurre il valore della famiglia fondata sul matrimonio, previsto dalla Costituzione italiana. Argomentazioni che hanno permesso a molti colleghi della maggioranza di constatare l’insostenibilità della proposta di legge così come impostata e scritta. Una battaglia condotta a fil di ragione e ragioni che, una volta tanto, ha vinto sulla logica dei numeri e non delle maggioranze preconcette. 

Abbiamo inoltre smascherato la subalternità di questo disegno di legge al politically correct che pretende di imporre a tutti lo stesso modello di pensiero (superficiale) e di convivenza, basato sul più assoluto soggettivismo e quindi sulla massima instabilità dei rapporti interpersonali. Esattamente il contrario di ciò di cui una società vitale ha bisogno per crescere.

In tale prospettiva ho sottolineato come la Provincia dovrebbe assumere azioni per promuovere pari opportunità, cioè rimuovere eventuali ostacoli giuridici alle persone o gruppi che partecipano alla sfera pubblica. Ma non può fornire la parità dei risultati, assicurare a tutti la parità di esperienze nella vita, garantendo che tutti siano felici. Oggi rischiamo di vivere, anche e soprattutto nelle istituzioni, la pretesa che le leggi possano risolvere i drammi umani e rispondere a tutte quelle esigenze elementari che albergano nel cuore dell’uomo, quasi identificando la morale con il diritto. Il rischio insomma è quanto paventato dal grande poeta T.S. Eliot di “sognare sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono”. Ma tutto ciò ha una pericolosa conseguenza: dare allo Stato, nel nostro caso alla Provincia, all’ente pubblico un ruolo che non deve appartenergli, un ruolo “etico” che limita fortemente la libertà delle persone e diventa regolatore assoluto dell’umana convivenza. Nel 1950 Hannah Arendt scriveva: «[Il] diritto alla libera associazione, e quindi alla discriminazione, ha maggiore validità rispetto al principio di uguaglianza». Se la libertà e l’uguaglianza sono in conflitto, dovremmo pertanto tifare per la libertà piuttosto che per l’uguaglianza.

Due sono state le proposte che abbiamo formulato. La prima: il ritiro del disegno di legge riportandolo in Commissione. Seconda: depurare il testo dalle intenzioni educative e culturali della Provincia, e finalizzare gli interventi a situazioni specifiche e concrete per colmare eventuali lacune legislative. Con questo spirito come opposizione ci siamo anche resi disponibili a contrastare, con un normativa utile e non ideologica, ogni discriminazione e a ragionare di percorsi finalizzati ad intervenire su condizioni di disagio, per garantire supporto alle persone in difficoltà, con il coinvolgimento delle famiglie interessate. Abbiamo quindi dimostrato un approccio non ideologico alla questione, ben diverso dal “taglio” dato al disegno di legge.

Il presidente della Provincia Autonoma di Trento, Ugo Rossi, ci ha sottoposto una rivisitazione del disegno di legge che, pur prosciugando il testo da varie norme come da noi richiesto, ne lasciava inalterate la sostanza e la pretesa ideologica. Abbiamo quindi risposto che questo tentativo non era sufficiente per far cadere il nostro “no”. Alla fine Rossi ha deciso di accettare una terza via d’uscita: la sospensione dei lavori su questo punto e il rinvio dell’esame del disegno di legge in aula all’anno prossimo, dopo l’approvazione della finanziaria. Senza quindi ripetere il passaggio in Commissione, ma evitando al tempo stesso di chiudere completamente la porta a una revisione profonda del testo di cui torneremo a discutere, a quanto pare, nel 2015.

Walter Viola
Consigliere provinciale e regionale, presidente gruppo consiliare Progetto Trentino