Domenica scorsa il neo ministro alla cultura francese Fleur Pellerin ha candidamente dichiarato a Canal Plus non solo di non conoscere i libri del suo compatriota Patrick Modiano, recentemente insignito del premio Nobel per la letteratura, ma addirittura di non leggere un libro da almeno due anni, essendo troppo presa da dossier, note di lavoro, lanci d’agenzia del suo ministero. Immediatamente si è scatenata una polemica rovente, non solo in Francia. La maggior parte dei commentatori ha condannato il ministro. Sul sito de Le Figaro si parla di Pellerin come vergogna. Lo scrittore Cristian Combaz ne vorrebbe le dimissioni e Tahar Ben Jelloun dichiara che il ministro “gli fa pena”. 



A parte qualche voce fuori del coro, come per certi versi Cesare Martinetti su La Stampa, si è avuta la sensazione di una generale levata di scudi della solita casta di intellettuali, chiusa in se stessa. E’ plausibile che quelli che oggi non perdonano l’ignoranza della Pellerin, ieri non sapessero, neppure loro, chi fosse Modiano. Del resto, fino al Nobel, lo scrittore italo francese era uno sconosciuto. The Guardian ha definito il premio uno “scandalo” e il L.A. Times ha titolato “Modiano Chi?”. Il tutto è poi peggiorato dal peccato originale della pur nobile terra di San Luigi. I transalpini, si sa, si sentono superiori. Parlano di “eccellenza” francese. E la Francia ha generato enorme ricchezza di architettura, pittura, letteratura. Ma visitando le pagine dedicate ai grandi della cultura francese sul sito France.fr, si trovano Voltaire, Rousseau, Sartre, Zola, Camus. Ma non Peguy, non Claudel. Neppure Mauriac (Sartre disse sprezzantemente di lui: “Dio non è un artista, Mauriac neppure”). Bisogna accontentarsi di Hugo. Del resto, se si guarda la storia delle istituzioni culturali statali di Francia (da Malraux in poi) la marginalità del fattore religioso è crescente e domina un laicismo che ha fatto della Francia il “paese meno teistico in tutto l’occidente ma il più moralizzatore” (Paul-François Paoli). 



La polemica in corso, però, ha un altro risvolto interessante. Pellerin, insediatasi da poche settimane al ministero di Rue de Valois, è esperta di economia, comunicazione e culture digitali. Ha origini coreane ed ha una formazione diversa dai suoi predecessori (si pensi a Frédéric Mitterand). Perciò è significativo sentirla dichiarare che non legge i libri, come se dicesse che non può perder tempo a leggerli, perché ci sono altre forme nuove di informazione e di trasmissione del sapere. 

La domanda perciò non è solo se si possa fare il ministro della cultura senza leggere libri (o qualsiasi ministro), ma se siamo davvero ad una svolta tecnico mediatica tale da consentirci di mettere in soffitta la cultura umanistica e le pagine a stampa, che di quella sono state per secoli a servizio. 



Spero che ciò non avvenga. Ciascun nuovo media si deve aggiungere, non sostituire, ai precedenti. E, con buona pace anche del nostro ministero dell’Istruzione, che vorrebbe nelle scuole più tablet e meno libri, penso che esista una specificità della pagina scritta che non deve venir meno. Ogni opera nasce per essere espressa in una modalità tipica. La specificità del media digitale è la frammentarietà, cioè la possibilità di fruizione non lineare, spezzettata, per pillole. Manca tendenzialmente l’unità dell’opera, che è invece propria del libro. 

Mi dispiace, ma, per restare in Francia, I Miserabili va letto sentendo lo spessore del suo contenuto anche nella fisicità delle pagine sotto i polpastrelli.