Siamo in provincia di Ragusa, Pina e Paolo si sono murati in casa, la casa che hanno posseduto con il loro lavoro, da anni. E’ stata venduta all’asta giudiziaria, dopo anni di lotta sono riusciti a rinviare la vendita l’anno scorso, ma ora lo sfratto è esecutivo. 

La loro azienda agricola è andata in crisi e non riuscivano più a togliere l’indebitamento. La casa d’aste ha venduto l’azienda agricola per 8.600 euro, che ci sembra veramente un incasso ridottissimo, e la casa è stata venduta per 30mila euro, vicina al valore minimo.



Davanti a casa stazionano gli striscioni del movimento dei forconi e del movimento per i diritti degli agricoltori,  in tal modo il caso è diventato politico e ci interroga tutti. Diritto alla casa indipendentemente dai soldi? No, sembra che adesso i nuovi acquirenti siano disponibili a rivendere la casa agli stessi ex proprietari, alla stessa cifra che hanno pagato all’asta. Dunque 30mila euro. Non sappiamo se Pina e Paolo hanno questi soldi, se si sono murati alll’interno probabilmente non possono farcela.



E allora si torna alla domanda: diritto alla casa indipendentemente dai soldi?

E’ una questione che non si può porre nel diritto privato e risoverla. E’ una questione che deve diventare di diritto pubblico, ovvero deve essere affrontata dai servizi sociali dell’ente locale. Ma sappiamo che i tagli ai comuni sono stati fatti in modo massiccio negli ultimi anni, e dunque l’assistenza è limitata.

Nonostante questo non si può pensare che si possa buttare in strada una famiglia. Il singolo caso deve essere vagliato da una rete solidale. Per esempio dai movimenti che sostengono la protesta. Come associazioni devono entrare nel merito progettando il divenire di questa famiglia e facendo una proposta alle istituzioni. Il progetto deve comprendere diritti e doveri, ci sia l’aiuto ma anche la prospettiva di autonomia e di ripresa lavorativa.



A sua volta l’ente locale deve cambiare la logica delle politiche sociali. Facciamo l’esempio dell’uso delle case popolari: vengono assegnate a chi ha bisogno e pagano affitti ridotti a seconda del reddito. Ma poi la famiglia si riprende, le condizioni cambiano, ma nessuno, anche se benestante, rinuncia al basso affitto. Per cui i diritti si distaccano dai doveri, la burocrazia favorisce l’opportunismo, e i nuovi poveri non possono avere la casa popolare perché queste sono tutte occupate. 

Ecco il caso che impone di passare la questione nelle mani delle presenze associative, le quali non sono istituzioni sfruttabili da chi rivendica solo diritti; la logica solidale entra nel merito della vita dei singoli e ne progetta il sostegno e anche i tempi di superamento del sostegno stesso.

Facciamo un altro esempio. Si sostiene una linea di microcredito per la ripresa della attività agricola, ma la rete solidale deve progettare l’innovazione delle linee di prodotto al fine di rendere produttiva l’azienda. Magari questo comporta avere reti solidali nella commercializzazione o nei consorzi che danno sementi, concimi, macchinari.

L’istituzione oggi è di fronte alle crescenti nuove povertà, con i mezzi che ha deve farvi fronte, allora bisogna che si passi dal voler assistere i poveri con servizi pubblici al sostenere la rete solidale con strumenti di servizio. Si scoprirà che con il privato sociale alleato si ottengono risultati spendendo meno. Ma soprattutto si supera la logica assistenzialista e si difende la dignità delle persone.

Ma adesso siamo al punto cruciale: il movimento dei forconi si sente di diventare anche rete solidale?   

Questa può essere la questione sollevata da Papa Francesco, quando ha detto che i poveri sono la priorità: gli danno del comunista per questo suo dire, ma queste cose sono le cose di Cristo. Ecco da dove viene il tema della rete solidale: si lotta per e con amore, e non contro i nemici per un diritto che diventa unilaterale.