È di pochi giorni fa la notizia che all’European Hospital di Roma c’è stato il primo caso di fecondazione eterologa, interamente italiano. Italiani i donatori, italiana la coppia ricevente, italiana l’équipe che è intervenuta, sia pure in mancanza di una legge ad hoc e sulla base di una sentenza della Corte costituzionale.



Un recente servizio del Corriere della Sera afferma che l’Italia è un paese senza donatrici per la fecondazione eterologa. E li cerca all’estero. Per Guido Pennings, docente di etica alla Ghent University del Belgio: «L’altruismo è il fattore più importante nella donazione di ovociti, ma il compenso finanziario è una ragione convincente». La mancanza di una legge che chiarisca tutti i passaggi concreti sul piano applicativo crea un forte livello di incertezza sul piano dei diritti esigibili, per i soggetti donanti, per la coppia ricevente e per le diverse figure di professionisti coinvolte nel processo della Pma.



Tra le diverse proposte di legge presentate in Parlamento, pur nelle notevoli differenze che le caratterizzano, spicca un chiaro punto di convergenza: urge una campagna di comunicazione-informazione rivolta a tutte le donne, soprattutto a quelle in età fertile. Ma serve anche un profondo coinvolgimento delle figure maschili, non solo perché potenzialmente donatori, ma anche perché la paternità nella fecondazione eterologa assume caratteristiche del tutto peculiari. Serve una preparazione previa mirata su obiettivi ben centrati, con un esplicito riferimento a potenziali difficoltà e al modo con cui affrontarle. Per la donna la gravidanza, anche quella ottenuta con fecondazione eterologa, rappresenta una circostanza straordinaria di intimità nella relazione con il proprio bambino. Un’amicizia che si nutre della consapevolezza che comunque senza di lei questo bambino non sarebbe in nessun modo potuto venire al mondo.



Senza campagne di sensibilizzazione, donne e uomini non sono in condizione psicologica di donare le proprie cellule riproduttive, neppure se la “donazione” viene proposta con un compenso, anche a titolo di rimborso spese.

La mentalità corrente è ben lontana da questa prospettiva: quel bambino che nascerà con la Pma è considerato sempre un po’ come un figlio di cui si perdono le tracce e di cui comunque ogni tanto si vorrebbe avere qualche notizia: sarà felice? È contento di essere nato? Di avere una madre biologica diversa dalla madre che pure si prende cura di lui? Vanno d’accordo o qualche volta gli si rinfaccia di essere altro dai genitori?

C’è anche questo guazzabuglio di emozioni nella resistenza a donare, sia negli uomini che nelle donne, ma in queste ultime il timore è più forte, come dimostrano gli studi in tal senso. La resistenza a donare ha un aspetto quasi viscerale nelle donne, mentre nel maschio alcuni studi parlano perfino di orgoglio della procreazione. 

Alla diversità delle percezioni psicologiche corrisponde anche una ben diversa complessità nelle procedure di prelievo degli ovuli, nel faticoso bombardamento ormonale che precede il prelievo, che richiede comunque un piccolo fastidioso intervento.

Per controbilanciare una serie di argomentazioni etico-antropologiche a cui si sommano quelle di natura biologico-sanitaria alcune strutture hanno lanciato perfino dei bandi di gara. Ha cominciato il Careggi, il primo degli ospedali a candidarsi per effettuare in modo praticamente gratuito la Pma eterologa a Firenze, aprendo — se necessario — anche a coppie di altre Regioni.

L’ospedale Careggi di Firenze, il più organizzato a livello nazionale su queste questioni, ha deciso di rivolgersi all’estero e il 29 ottobre è uscito sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea un avviso di gara: «L’azienda ospedaliera universitaria Careggi intende conoscere quali istituti, in possesso dei necessari requisiti, sono interessati a collaborare, all’occorrenza, per l’approvvigionamento di gameti».

Il termine per le candidature era ieri. I centri fornitori dovranno garantire la tracciabilità dei campioni biologici e la consegna di gameti femminili al massimo entro 72 ore dalla richiesta, mentre il Careggi si impegna ad avvisare dell’imminente arrivo l’Ufficio di sanità marittima e di frontiera.

Il Careggi quindi si rivolge all’estero perché evidentemente, sulla base delle richieste di fecondazione eterologa, non ritiene possibile ottenere tutti i gameti di cui ha bisogno dalle donne italiane. Stabilisce con chiarezza la discrepanza che c’è tra donatori uomini, molto più facili da reperire, e le donatrici donne, restie a mettere in gioco il proprio patrimonio generativo. Anche alcuni centri privati si sono velocemente adattati a questa prassi, come il Demetra, toscano anche lui.

Si fatica a tenere insieme due diverse argomentazioni, che pure fanno da punti di riferimento al dibattito generale: da una lato il proclamato diritto alla maternità, la volontà di soddisfare — ad ogni costo — il proprio desiderio di avere un figlio; dall’altro il vincolo oggettivo che per soddisfare questo desiderio non basta la sentenza della Corte. Una donna non potrà mai esigere questo diritto, perché tale lei lo considera, se non ci sarà un’altra donna disposta a cederle i suoi ovuli.

In altri termini si tratta di un diritto inesigibile senza la volontà concessiva di un’altra donna. È un diritto dimezzato, perché in realtà si tratta di un non-diritto, ma di un forte desiderio che impegna la sua soggettività ma non può essere imposto con l’oggettività propria dei diritti umani fondamentali, che sono sempre esigibili.

Non a caso si comincia a pensare ad un possibile social egg freezing a titolo solidale. È l’intervento che permette di congelare gli ovociti in giovane età, per poter posticipare la maternità. Sono i propri ovuli congelati oggi per “domani”, nell’eventualità che si possano creare situazioni compromissorie per la propria salute. Ma qualcuno si spinge oltre e chiede alle giovani donne disponibili di donare la metà dei propri ovuli crioconservati ad altre donne che potrebbero averne bisogno.

Un’altra ipotesi è il gametes crossing, ossia l’incrocio di donazioni anonime. Lo promuove l’Associazione per la donazione altruistica e gratuita di gameti. Chi desidera aiutare una coppia infertile dona i propri ovociti a un centro di fecondazione che li cederà gratuitamente alla coppia bisognosa.

Terza proposta, l’egg sharing, dove la paziente che si sottopone a trattamenti per se stessa (fecondazione omologa) dona i propri ovuli in sovrannumero a un’altra.

Il vero problema per alcuni è che non abbiamo una cultura della donazione e così la sentenza della Consulta rischia di restare inapplicata.

Ma social egg freezing, egg sharing, gametes crossing, non sono solo modalità per aggirare la scarsa propensione alla donazione di gameti delle donne, sono indicatori concreti di quanto sia radicata nelle donne, soprattutto in quelle italiane, il senso della maternità. Una maternità desiderata da parte di chi non può realizzarla con i propri gameti, ma anche una maternità custodita in chi non vuole cedere i propri gameti, considerandoli parte di sé… Qualcosa di così intimo e profondo che a distanza di tempo e di spazio è sempre possibile riconoscere come proprio.

Difficile non pensare, dopo una donazione di ovuli, che quella persona che tanto mi assomiglia non possa essere anche mia figlia… Difficile non rimpiangere un dono magari fatto da giovani senza essere pienamente consapevoli che quel dono non è un dono di qualcosa, ma è un dono di me, una parte di me.

Il fatto che sia così difficile donare gameti potrebbe non essere il segno di una egoistica indisponibilità verso altre donne meno fortunate; non potrebbe quindi essere piuttosto il segno di un radicamento della maternità incarnata nella struttura dell’essere femminile, e per questo gelosamente custodita non come qualcosa che le appartiene, ma come qualcosa che è parte integrante di lei?

Non egoismo quindi, ma custodia del proprio essere e della propria identità.

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