“Per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio”. Lo scrive Umberto Veronesi nel suo nuovo libro “Il mestiere di uomo”, di cui La Repubblica riporta oggi alcuni estratti. Il direttore scientifico dello Ieo (Istituto europeo di oncologia) non sa dire con certezza quando è stato il suo “primo giorno senza Dio”: sicuramente “dopo l’esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa”, anche se “il tramonto della fede era iniziato molto prima”. Oltre alle stragi dei combattimenti, Veronesi dice di aver toccato con mano “anche la follia del nazismo”, una realtà che lo ha spinto a chiedersi: “Dov’era Dio ad Auschwitz?”. Anche la scelta di fare il medico “è profondamente legata in me alla ricerca dell’origine di quel male che il concetto di Dio non poteva spiegare”, però incappò “in un male ancora più inspiegabile della guerra, il cancro”, che diventò presto molto difficile da identificare “come una manifestazione del volere di Dio”. Veronesi si dice convinto che nella sala operatoria non ci sia alcun aiuto se non quello del chirurgo, nessun angelo custode ma solo un paziente che affida la sua vita a quell’uomo col bisturi in mano: “Allo stesso modo di Auschwitz – scrive – per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del ‘non so’”.